IL FARDELLO PRESUNTUOSO

IL FARDELLO PRESUNTUOSO SI RIAFFACCIANO LE LOGICHE COLONIALI IL FARDELLO PRESUNTUOSO Claudio Moffa IN Iraq non passa giorno che non si registrino attacchi contro gli angloamericani; in Afghanistan i «soldati di pace» subiscono spietati attentati kamikaze; a Cuba, e di un mese e mezzo fa la manifestazione di centinaia di migliaia di persone a favore di Castro, in occasione del 10 maggio: si può pensare quel che si vuole di questa catena di eventi, ma riprendendo certo dibattito storiografico postbipolare - una cosa è certa. I nuovi corifei del revival colonialista dell'Occidente, collocati quasi sempre a metà strada fra revisionismo dei fatti e revisionismo dei valori - rivalutare cioè l'imperialismo ottocentesco, con uno sguardo partecipe alle nuove missioni civilizzatrici dell'Occidente - stanno trovando pane per i loro denti, e c'è da chiedersi se non siano costretti a rivedere i propri paradigmi interpretativi. Che si assista a un «ritorno» di logiche coloniali nell'età postbipolare apertasi con il crollo dell'Urss è fuor di dubbio: chi mai avrebbe pensato a un «governatorato» per un paese fino a ieri indipendente e rappresentato all'Onu? E chi mai avrebbe ritenuto giusto bombardare l'Afghanistan, ad appena un quarto di secolo dalle durissime polemiche contro l'intervento dei carri armati sovietici a Kabul? Basta del resto andare a rileggersi L'mpmalism di Hobson, per cogliervi fin troppe analogie con l'epoca presente per quel che riguarda i «poteri forti» che hanno mosso e guidato il processo di colonizzazione, dalla finanza ai settori economici chiave, dall'accademia «ufficiale» ai mass media. Ma le molte somiglianze non possono far scordare le grandi differenze fra i due periodi, e in particolare una: l'ideologia colonialista ottocentesca fioriva in un'epoca in cui tutta la cultura e tutta la Weltamchammg europea del mondo «altro» erano imbevute di presunzioni razziali e di socialdarwinismo, a loro volta prodotto oggettivo della grande distanza che separava ormai l'Europa della rivoluzione industriale e della rivoluzione francese, dal resto del pianeta. Persino Marx potè, e dovette, teorizzare un molo positivo per il colonialismo britannico nell'India prefeudale: un «fardello dell'uomo bianco» in salsa «rivoluzionaria», lungo un percorso deterministicamente dialettico-progressivo in nome del quale anche il nostro Labriola avrebbe esaltato l'impresa di Libia. Oggi la situazione è profondamente diversa: così come la prima decolonizzazione postbellica si è alimentata degli ideali di libertà, eguaglianza e autodeterminazione delle potenze alleate contro l'Asse, le nuove resistenze al nuovo colonialismo postbipolare hanno alle spalle un sedimento storico fortissimo: idee, coscienze diffuse, capacità di governo, trame organizzative - spesso mutuate da modelli occidentali - che non potranno essere certo cancellate anche con i più crudeli bombardamenti. L'«uomo bianco» del terzo millennio può sentire sopra di se il «fardello» presuntuoso di una nuova missione civilizzatrice: ma è un fardello molto più pesante e doloroso di quello dei tempi di Kipling, che rischia - come sta accadendo ai soldati americani morti ammazzati in Iraq - di farlo cadere a terra, senza neppure il beneficio della gloria, impossibile in società occidentali anch'esse pervase dal dubbio e dalla protesta contro i fanatici dello «scontro fra civiltà».

Persone citate: Claudio Moffa, Kipling, Labriola, Marx

Luoghi citati: Afghanistan, Cuba, Europa, India, Iraq, Kabul, Libia, Urss