A 8 mesi il trapianto con il fegato di papà

A 8 mesi il trapianto con il fegato di papà ECCEZIONALE INTERVENTO, IL PRIMO SU UNA BIMBA COSI PICCOLA A 8 mesi il trapianto con il fegato di papà Sara soffriva fin dalla nascita di problemi alle vie biliari: in pratica, il suo organo non riusciva a smaltire la bile che veniva prodotta L'operazione dell'equipe del dottor Salizzoni è durata 13 ore Claudio Laugeri «E' papà, è papà». Luca, 2 anni e mezzo, punta il dito verso il televisore dove scorrono le immagini commentate dal giornalista sul trapianto di fegato di questo padre alla figlioletta di 8 mesi, la sorella di Luca appunto. Quel padre è Vincenzo Papalìa, 33 anni, da festeggiare oggi in ospedale assieme alla riuscita dell'intervento alla piccola Sara, malata dalla nascita e destinata, senza quell'operazione, a morire in poche settimane. La prima in Italia su una bimba così piccola. E da donatore ancora in vita. Luca ha due anni e mezzo, non sa di quel piccolo miracolo della chirurgia. Papà Vincenzo e mamma Maria, 29 anni, si erano offerti come donatori. «Abbiamo scelto il padre perché più idoneo - spiega Mauro Salizzoni, primario delle Molinette -. In particolare, il "lobo sinistro" del suo fegato (la porzione da trapiantare, ndr) era più piccolo rispetto a quello della moglie e quindi più adatto a una bimba di quella corporatura». Già, perché la piccola Sara pesava 6 chili e mezzo quando è entrata in sala operatoria, la metà rispetto a una bimba di 8 mesi sana. In più, la parte addominale era gonfia d'acqua, proprio a causa di una serie di disfunzioni legate alla cirrosi epatica. Sara soffriva di «atresia delle vie biliari»: la bile prodotta rimaneva nel fegato, perché mancavano le «vie» per portarla fuori da quell'organo. Da tre mesi la piccola era in lista d'attesa per un trapianto. «Una situazione più difficile rispetto a un adulto, soprattutto per le dimensioni dell'organo» spiega Salizzoni. I medici avevano già tentato di risolvere il suo problema con un altro intervento, ma senza successo. «Il trapianto rimaneva l'ultima soluzione e non c'era tempo da perdere. Le condizioni della bambina erano precipitate, siamo riusciti a portarle alla normalità, ma sapevamo che avevamo 15-20 giorni per intervenire» racconta il primario. Un mese fa, i genitori si sono sottoposti agli esami necessari per valutare la possibilità della donazione. E' toccato a Vincenzo salvare la piccola Sara. I medici mantenevano la situazione sotto controllo, l'intervento è stato programmato per venerdì mattina. Il giorno prima, la chiamata al padre: «E' ora». L'equipe di 8 specialisti coordinata da Salizzoni ha lavorato 13 ore. In sala operatoria c'era anche Jean Bernard Otte, «il mio maestro, che anche prima dell'intevento ha dispensato utili consigli» dice con modestia Salizzoni, chirurgo da cento operazioni l'anno e nell'ottobre del 2002 arrivato a quota mille. Sembrerebbe quasi routine, ma il livello è d'eccellenza in Europa. «Tre colleghi hanno lavorato al "prelievo" del fegato dal padre, altri cinque hanno trapiantato la porzione d'organo sulla bambina» spiega ancora Salizzoni. Papà Vincenzo è entrato in camera operatoria alle 5,20 per anestesia e «preparazione», l'intervento è incominciato 40 minuti più tardi; alle 11, l'operazione era terminata e un'ora e mezza più tardi il papà della piccola era su un letto nel reparto di rianimazione. Alle 7,30, Sara è stata portata in una camera operatoria vicino a quella dov'era il padre. Un'ora e mezza di preparazione, poi è toccato agli specialisti del bisturi. «E' stato necessario alternare i chirurghi perché è un lavoro faticoso - spiega Salizzoni -. Bisogna fare una ricostruzione di parti di tessuto microscopiche, i medici lavorano con "occhiali ingranditori". Devono stare fermi, non possono sopportare a lungo posizioni di quel tipo». Gli specialisti hanno tolto il fegato malato e trapiantato quello di papà Vincenzo. «Non è stato facile il lavoro di asportazione dell'organo della piccola - dice ancora il primario -. Il tentativo di risolvere il problema con l'operazione precedente aveva portato alla formazione di "aderenze . Situazione nota, certo, ma comunque complessa. A questo, va aggiunto il grado di difficoltà dell'intervento in sé».,Alle 13, i medici hanno incominciato a ricucire il fegato di papà Vincenzo nel corpicino di Sara. L'intervento è andato avanti fino alle 19. Una notte sotto controllo, poi la soddisfaziorìé dei chirurghi è rimbalzata nelle redazioni dei giornali. aDa un punto di vista tecni¬ co, l'intervento è riuscito. Le condizioni della piccola sono buone, riteniamo che potrà tornare a casa fra tre settimane» sorride il primario. Sara è coccolata da mamma Maria; papà Vincenzo è già seduto sulla sedia vicino al letto della sua camera d'ospedale. E' felice. Il merito di questo «miracolo» è anche suo. La bambina pesava sei chili e mezzo, la metà del normale Il primario: «La difficoltà più grossa era legata alle sue dimensioni Abbiamo scelto il padre perché si adattava meglio all'intervento» Otto specialisti si sono alternati attorno a quel lettino «Bisogna ricostruire parti di tessuto microscopiche: i medici devono stare fermi non possono sopportare a lungo posizioni di quel tipo» Il dottor Mauro Salizzoni, a destra, con Vincenzo Papalia subito dopo l'Intervento

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