Il testamento di Maria

Il testamento di Maria Il testamento di Maria Montale che le scrive: «Sei salita in cattedra senza portare barba e occhiali», e ancora: «Scrivo prof sulla busta per non farti perdere la stima dell'ufficio postale». E Contini: «Le dirò, ma in un orecchio, che ho quasi ultimato il grosso di un'edizione del "Fiore"». E Benvenuto Terracini: «Quando un giorno ci rivedremo farò come Renzo nell'ultima pagina dei Promessi sposi e le dirò: "L'America mi ha insegnato questo e questo..."». Sono alcune delle lettere raccolte nel libro postumo di Maria Corti, «I vuoti del tempo», pubblicato da Bompiani e curato da Francesca Caputo e Anna Longoni, che ne tracciano anche un gustosissimo ritratto «autobiografico». «I vuoti del tempo», suona quasi come il testamento della grande storica della letteratura italiana, che spaziava fra Dante e Montale, non tralasciando di occuparsi della musica degli Skiantos e dei movimenti degli indiani metropolitani, degli esperimenti linguistici e formali del Gruppo '63 e della propria scrittura creativa, in romanzi, da «L'ora di tutti» a «Le pietre verbali». Qui, gli autori che indaga sono Montale, Calvino, Contini, Sinisgalli, il suo maestro Terracini e quel grande economista e uomo di umanità che fu Raffaele Mattioli, che guidò la Comit, fra gli Anni Trenta e Settanta. Alle sue Relazioni alle Assemblee generali dedica un saggio stilistico esemplare.

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