Gioia e disperazione separate da appena centoventi minuti di Francesca Paci

Gioia e disperazione separate da appena centoventi minuti LA DELUSIONE BIANCONERA Gioia e disperazione separate da appena centoventi minuti In 15 mila hanno seguito l'incontro sul maxischermo di piazza Castello avrebbero voluto essere le avanguardie della grande festa in centro ' invece sono tornati mestamente a casa: «Pazienza, grazie lo stesso Juve» Francesca Paci Nel cuore ha solo Maradona, ma il più deluso dalla sconfitta della Juventus è il ragazzo Sasà. Era partito in mattinata da Napoli con duemila manifestini listati a lutto, «Dopo 90 minuti di lunga agonia si è spenta l'inutile esistenza dei Diavoletti del Milano». A un euro ciascuno, ne avesse venduti solo la metà sarebbe tornato a casa con una fortuna. Invece, di fronte al capitano rossonero Paolo Maldini con la Champions League in mano, gli juventini hanno strappato anche quei pochi comprati alla faccia della scaramanzia. Piazza Castello è un salotto scomodo, a chiusura di partita pare una camera di tortura. Novanta minuti di passione, due tempi supplementari, il supplizio dei rigori. Fino al fischio finale l'aplomb dei tifosi è impeccabile, poi cede. Qualche momento di tensione, rabbia, delusione per un'attesa cominciata con largo anticipo. Salvatore Trentacapilli, il tifoso numero uno arrivato ieri pomeriggio da Vibo Valenzia, divide le panchine con i turisti fino al tramonto. Alle venti anche i posti in piedi sono esauriti: tutti allungati sulle punte col collo proteso verso il maxischermo, odore acre di tensione e fumogeni, una foresta che ondeggia in blocco accompagnando ogni affondo dei beniamini in area rossonera. La poltrona di casa attraversa i pensieri dei supporters più maturi, ma soffrire in quindicimila è un'altra storia. E il peso della sconfitta smezzato. Il popolo bianconero canta, trattiene il fiato, ripete il mantra stampato sulle magliette della squadra del cuore, «La storia insegna, la Juve è degna». Quando dallo stadio di Manchester le telecamere inquadrano lo striscione «In campo 11 piemontesi», la folla esplode nemmeno fosse il gol sperato invano per novanta minuti. I colori di Del Piero e compagni uniscono al di là della vittoria. Per una notte la città è divisa solo in due parti. Quelli che il calcio proprio non lo seguono, e gli altri. Parlano la lingua del lunedì mattina al bar, quando di fronte ai risultati del campionato non c'è questione geopolitica che tenga. In piazza Castello l'unica strategia interessante per studenti, impiegati, professori universitari, è quella messa in campo da Marcello Lippi. Stamattina accompagnerà il cappuccino di molti. Il pensionato Giovanni che ha salutato i cancelli di Mirafiori dieci anni fa, tiene l'abbonamento dello stadio con la cura riservata al cartellino timbrato per ima vita. «La Juventus è una passione, palpito come un innamorato», ammette a dispetto dell'età. E per un momento svanisce il mezzo secolo che lo separa dalle due fanciulle avvolte nel drappo nero con scritto sopra in bianco: «Nedved non si discute, si ama». Qualcuno avanza una critica, «il primo tempo troppo sulla difensiva», ma fino al rigore della condanna il sostegno ai ragazzi è compatto. Scivola Davids, urlo di dolore. Buffon para un siluro, la piazza rincula tutta insieme come avesse accusato il colpo e poi applaude. Dieci giovanissimi di Sant'Antonino di Susa affogano l'ansia in un bottiglione da due litri di Barbera Fiore che a dieci minuti dall'inizio del primo tempo è già agli sgoccioli. Ne avessero tenuto una riserva per l'oblio. Gli stranieri bevono acqua minerale. Algerini, senegalesi, molti marocchini, seguono il ma¬ tch con le braccia incrociate sul petto e la sciarpa bianconera a mo' di paramento sacro. Sono gli immigrati di oggi che prendono la staffetta dei meridionali di ieri. Come loro operai, parzialmente integrati, juventini. La squadra è il laccio con la città. Sentite Zinedine Abdellatif, vent'anni, di Casablanca: «Uno che si chiama come Zidane, poteva trovare una seconda patria migliore di Torino?». Certo, Zizou non c'è più, ma lui teneva per la Juventus già da bambino. E continuerà, giura, a dispetto della delusione di Manchester. Il ragazzo Sasà abbandona il fascio di volantini vicino a un cassonetto, «sarebbe stata una gioia anche per mia moglie». Invece la piazza resta vuota come un party di compleanno disertato dal festeggiato. Sasà era arrivato da Napoli con duemila manifestini listati a lutto per salutare la dipartita dei «diavoletti» Voleva venderli a 1 euro l'uno, se li è riportati a casa Prima della doccia fredda dei rigori, la serata è stata ritmata dai cori «La storia insegna, la Juve è degna», «Nedved non si discute, si ama» Giovani, meno giovani, torinesi da più generazioni e immigrati nordafricani: in piazza Castello ieri sera è scesa simbolicamente tutta Torino

Luoghi citati: Manchester, Milano, Napoli, Sant'antonino Di Susa, Torino, Vibo Valenzia