Alfabeto Einaudi, la carica dei 47

Alfabeto Einaudi, la carica dei 47 I ì E R A DEL L I B R Q: . L'EDITORIA E LA RETE Alfabeto Einaudi, la carica dei 47 Dalla A di Adorno alla V di Vittorini: Davico Bonino e i suoi ritratti, ricordo di diciott'anni di lavoro CI sono libri che si devono e libri che si vogliono scrivere. A costo di scandalizzare quanti mi leggono, un professore universitario deve spesso scrivere dei libri che non vorrebbe, cioè che non desidera scrivere particolarmente. Li scrive perché glielo impone, in qualche modo, la sua carriera. Quando esisteva l'inutile istituto della «libera docenza», correva voce nelle varie accademie della Penisola che si doveva, per accedervi, scrivere almeno due libri: uno su un tema di letteratura italiana «antica», dalle origini al Quattrocento (parlo della disciplina in cui mi sono formato) ed uno su un tema di letteratura italiana «moderna» dal Cinquecento all'Ottocento (del Novecento, allora, era meglio dimenticarsi). Ho scritto «Alfabeto Einaudi» perché volevo ad ogni costo, un giorno o l'altro, scriverlo. Ma quando, per l'appunto? Ho passato quarant'anni della mia vita su scritti «servili», secondo la definizione coniata da quell'uomo molto intelligente che è Cesare Garboli e adottata ormai da tutti noi: introduzioni, introduzioni e commenti, commenti soltanto, qua e là qualche saggio, qualche monografia. Ho diretto un teatro (pare, malissimo), un paio di festival (un po' meno male, forse), ho curato decine e decine di trasmissioni radiofoniche e televisive, ho tradotto teatro e poesia (spero, decentemente)... Quei! libro non trovavo mai il tempo per scriverlo. Perché avere il tempo non significa soltanto trovarlo, materialmente, sulle lancette dell'orologio (e già questo mi riusciva pressoché impossibile), ma isolarlo mentalmente e, diciamolo pure, spiritualmente. Finalmente, l'estate scorsa, sono riuscito ad isolarlo. Vivevo una situazione di profondo disagio: dirigere un'istituzione pubblica all'estero nel nome di un governo in cui non mi riconosco (mi tornavano alla mente questi versi: «Il mio supplizio è quando non mi sento in armonia...»), sotto il controllo di pubblici amministratori indifferenti al lavoro culturale (altri versi: «Il male che non si smorza per me si chiamò l'Igno- ranza...»). Ho deciso che avrei lasciato incarico e istituzione e che avrei dedicato interamente le mie vacanze a scrivere «Alfabeto Einaudi». Cioè, a parlare con i miei morti. Se fosse dipeso da me, il libro avrebbe dovuto intitolarsi «Legons des tenèbres», come le musiche del Seicento destinate ai trapassati o ai riti cristiano-cattolici della penitenza. Giacché i 47 ritratti che il libro racchiude, sotto il banale pretesto dell'ordine alfabetico, dalla A di Adomo alla V di Vittorini, sono tutti di trapassati. Dovevo evocarli uno ad uno davanti a me, senza alcun taccuino né traccia di precedenti scritti (preciso - dato che il solito Bene Informato si è già preso il gusto di dire che ho fatto del «collage» di pagine già scritte, che ho scritto tutto da zero, di getto e a memoria). E così, nel mio studiolo di Pecetto Torinese, durante l'agosto scorso, senza un giorno di sosta, ho «parlato» per un mese filato con i miei maestri in editoria Giulio Bollati, Italo Calvino, Daniele Ponchiroli - con gli scrittori italiani dello Struzzo - i torinesi Antonicelli, Alpino, Primo Levi, e poi Bassani, Cassola, Parise, PasoUni, Sciascia, Vittorini - con gli autori francesi della casa - Barthes, Beckett, lonesco, Foucault, Lacan, Sarraute - con qualche altro straniero incontrato qua e là (Adomo in atteggiamento sconveniente di vecchio satiro e, all'opposto. Henry Miller, castamente impegnato a battermi a ping pong). Sono quarantasette, e avrebbero potuto essere qualcuno di più: avrei potuto arrivare a cinquanta, con qualche intelligente collega scomparso (Paolo Fossati, ad esempio, ma non sarei riuscito a spiegare bene la sua dialettica, tra passione e razionalità), qualche altro scrittore (Paolo Volponi, altro groviglio di geniali contraddizioni) e con... Giulio Einaudi. Ma nel libro c'è già, e moltissimo, è lì che vigila dietro ogni ritratto, e naturalmente non è d'accordo su niente. Com'è stato, con me, per diciott'anni. Guido Davico Bonino DOVE Il 16 alle 17,30 a! Caffè Letterario presentazione dei libro di Guido Davico Bonino «Alfa1 beto Einaudi. 1 segreti dello Struzzo». E' presente l'autore Gìulìo Einaudi

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