Noi magistrati del casoTelekom Serbia non siamo «amici» di nessuno di Bruno Tinti

Noi magistrati del casoTelekom Serbia non siamo «amici» di nessuno LETTERA Noi magistrati del casoTelekom Serbia non siamo «amici» di nessuno Caro direttore, le chiedo di ospitare sul giornale da lei diretto questa lettera aperta al Presidente del Consiglio Signor Presidente Ho visto, giovedì 22 maggio, la trasmissione Porta a Porta e ho ascoltato le sue dichiarazioni sui magistrati che si sono occupati dell'indagine Telekom Serbia, in particolare quando ha detto che essi avrebbero chiesto l'archiviazione nei confronti degli indagati perché "magistrati combattenti ... collaterali alla sinistra"; e quando ha detto: "Lo credo bene che Rutelli e Fassino dicono di aver fiducia nei magistrati, sono dei loro". Mi sono molto arrabbiato, essendo io il Procuratore Aggiunto che, insieme con i Sostituti Roberto Furlan e Paolo Storari, ha condotto quell'indagine; e ho deciso di querelarla. Non esiste infatti per un magistrato un'accusa peggiore di quella che lei ci ha mosso, quella di non essere imparziale; e non esiste quindi un insulto peggiore. Poi, il giorno successivo, non ho avuto più tempo di pensare a queste cose perché ho avuto tanto da lavorare (quasi soltanto per Telekom Serbia, in verità) e solo stamani, quando ho cominciato a scrivere, mi sono reso conto che stavo per fare uno sbaglio. Io non voglio querelarla: non ho interesse a che lei sia punito per gli insulti che ha rivolto a me e ai miei colleghi; e non ho interesse a ricevere una somma di danaro a risarcimento del danno morale che ci ha cagionato: per lei sarebbe comunque poca cosa; e io non ho mai attribuito importanza al danaro, ne ho quanto mi basta. Io voglio che lei capisca la gravità di quello che ha detto; che si renda conto di aver accusato ingiustamente persone che hanno lavorato con rigore morale e serietà professionale; che comprenda come le accuse di opportunismo e parzialità, già gravi per chiunque, sono gravissime per chi svolge la funzione di attribuire torti e ragioni, responsabUità e sanzioni, elevato, in questi momenti, al di sopra degli altri non per meriti propri ma per la dignità della funzione stessa. Io voglio, signor Presidente, che lei accetti, razionalmente e spiritualmente, il fondamentale principio che ho in me da quando ho l'età della ragione e che uno dei miei maestri dellUniversità ha così bene espresso: se al mondo ci fossero solo due uomini e questi uomini fossero San Francesco e Santa Chiara, il diritto starebbe tra loro ad indicare quello che è giusto. Io voghe che lei capisca che quando un giudice assolve o condanna fa proprio questo, indica quello che è giusto. I miei colleghi ed io abbiamo governato il diritto; forse non Io abbiamo fatto con sapienza, con competenza e sensibilità adeguate. Ma, signor Presidente, lo abbiamo fatto con imparzialità e senso della giustizia. E lei ha fatto male quando ci ha accusato di essere amici degli indagati, o di persone che a questi erano vicine, o di parti politiche cui gli uni e gli altri sarebbero appartenuti; e quindi di aver preso una decisione contraria al diritto. Lei, signor Presidente, non aveva nessuna ragione per dire quello che ha detto: non conosce né me né i miei colleghi e non può sapere se noi si sia "amici" di questo o di quest'altro; e nemmeno può sapere se noi siamo giudici disposti a tradire la nostra funzione per favorire eventuali "amici". Non sa nulla di Telekom Serbia, non avendo letto un solo foglio dei 35 o 40 "faldoni" che abbiamo riempito nel corso dell'indagine; e, se per avventura qualcosa avesse saputo, avrebbe avuto il dovere, come cittadino e più ancora come Presidente del Consiglio, di portarlo a nostra conoscenza e di aiutarci a prendere la decisione più giusta. Ma, soprattutto, lei non doveva dire al nostro Paese, senza motivo e senza prove, che ci sono giudici disposti a favorire gli amici. In questo modo lei ha imbarbarito la coscienza civile dei cittadini, li ha indotti a cercarsi protettori potenti in modo da avere la garanzia di essere "favoriti" se mai ce ne sarà bisogno, ha sostituto la fiducia nello Stato con l'asservimento a questa o quella parte politica. I miei colleghi ed io, signor Presidente, vogliamo che lei riconosca di aver sbagliato; vogliamo che si informi sulla nostra storia professionale, sul nostro impegno e sul nostro onore. E voghamo sentirci dire che è vero, non siamo "amici" di nessuno e che, comunque, siamo uomini e giudici per cui eventuah affinità di cultura, di passione politica o di impegno sociale mai possono prevalere, come mai hanno prevalso, sul nostro dovere di imparzialità e indipendenza. Ci chieda scusa, signor Presidente. Riconoscerà l'onore a giudici onesti e imparziali; e renderà fiducia al Paese. Con osservanza Bruno Tinti Procuratore aggiunto di Torino

Persone citate: Fassino, Lettera, Paolo Storari, Roberto Furlan, Rutelli, Santa Chiara

Luoghi citati: Serbia, Telekom Serbia, Torino