Le insidie dell'economia «a doppiavù» di Francesco Manacorda
Le insidie dell'economia «a doppiavù» ■' ^ ' ' - v CONGIUNTURA IN CAIO DOPO UN A BREVE RISALITA. PRESTO PER SENTIRE4?EPETT0 CAMBIO Le insidie dell'economia «a doppiavù» Onida: dopo l'estate il quadro sarà ancora difficile analisi Francesco Manacorda QUESTI dati mettono in dubbio la previsione che nel secondo semestre dell'anno ci sarà una ripresa». Fabrizio Onida, docente di economia intemazionale alla Bocconi non ha esitazioni nel giudicare «brutti» gli indici su fatturato e ordinativi industriali diffusi ieri dall'Istat. E che la ripresa arriverà in ritardo rispetto a quello che i più prevedevano ancora qualche settimana fa lo si sente dire anche nella sede bolognese di Prometeia dove l'economista Alessandra Benedini che si occupa di sistema industriale parla di segnali di «incertezza e tensione prolungata» anche e specialmente perché il dato pesante degli ordinativi «proietta ancora avanti, sebbene con sfumature diverse da settore a settore, una situazione di difficoltà». «I numeri dell'Istat confermano che siamo nella f^se discendente della seconda sezione a doppia v», dice ancora Onida. Significa che l'andamento dell'economia sta seguendo proprio l'andamento della lettera W: a una fase di calo ne è seguita ima di ripresa dell'attività, ma poi la congiuntura ha deluso le aspettative ed ha di nuovo cambiato rotta, scendendo verso il basso, dove siamo adesso. Per completare la W, il Pil dovrà tornare a salire, ma di quanto e soprattutto quando lo farà, è una scommessa sempre più rischiosa da fare. Ma la brusca frenata dell'industria itahana è colpa soprattutto dell'euro improvvisamente forte? Ieri il vicepresidente di confindustria Guidalberto Guidi ha puntato il dito senza esitazioni contro la moneta unica, ma certo gli effetti del cambio sulle esportazioni dipendono in parte anche dalla particolare struttura del sistema produttivo italiano, poco avvezzo a competere in settori dove la partita si gioca sull'innovazione piuttosto che sul prezzo. E comunque il grande lamento degli europei - non solo italiani - per il crollo del dollaro lascia gli Stati Uniti insensibili. Sempre ieri il Wall Street Journal ha messo in evidenza quella che considera l'irritante tendenza delle imprese del vecchio continente a imputare all'euro forte le loro brutte performance, facendo notare come nei bilanci dello scorso anno nessuno dei nomi citati attribuisse all'euro allora debole il merito dei propri progressi. Che il supereuro si faccia sentire sull'export e quindi sulla dinamica del Pil è comunque fuori di dubbio. Banca Intesa, in uno studio pubblicato la scorsa settimana nella collana «Economia e mercati finanziari» ha anche quantificato gli effetti dell'apprezzamento di circa il 100Zo ottenuto dall'euro sul dollaro dall'inizio dell'anno, calcolando che esso porti a una perdita di circa 0,30Zo punti percentuali sul Pil italiano. Il calcolo - spiega l'autrice della ricerca, l'economista Giada Giani - è presto fatto: «Una variazione del 100Zo nel cambio euro/dollaro significa una variazione di circa il 30Zo nel cambio effettivo dell'euro, quello calcolato cioè con le valute di tutti i Paesi con cui la zona euro ha rapporti commerciah». E ogni punto percentuale di apprezzamento del cambio effettivo «porta un minor contributo alla crescita del Pil dello 0,10Zo, derivante quasi del tutto dalla diminuzione dell'export». L'effetto depressivo dell'euro forte, secondo la ricerca di Banca Intesa si farà sentire a pieno nel secondo trimestre di quest'anno e - se il rapporto di cambio con il dollaro dovesse mantenersi ai livelli attuali potrebbe lasciare nel medio periodo un «buco» nelle esportazioni jari allo 0,40Zo del Pil. A controbianciarlo - spiega ancora la ricerca - ci sarà solo un vantaggio per i consumatori che potranno godere di una bolletta energetica meno cara, uno «sconto» di 3 miliardi circa, che dovrebbe tradursi almeno in parte in maggior reddito disponibile e quindi stimolai^ la domanda intema. Non appare invece plausibile che i vantaggi del minor costo delle materie prime denominate in dollari si riflettano lungo tutta la filiera produttiva: in tempi di vacche magre chi sta a monte di quella filiera tenderà a non trasmettere quei risparmi. Ma l'effetto del supereuro sulle esportazioni italiane dipende anche dalla particolare struttura del nostro sistema industriale. «L'Italia ha ima struttura sbilanciata e rivolta non tanto ai settori innovativi, quanto ai settori tradizionah - spiega ancora Benedini - dove la partita della competitività si gioca essenzialmente sul fattore prezzo e dove quindi si avvertono al massimo gli effetti sulle esportazioni di un apprezzamento dell'euro». Meno convinto dell'importanza del supereuro è invece Onida. «La risposta non è così univoca. L'Italia ha dei vantaggi su settori tradizionali come la meccanica e soffre su altri, come l'auto o la chimica, dove al competitività sui prezzi è molto forte. Ma certo non soffriamo più di Francia Germania o Olanda quando debbono esportare le loro auto o i loro televisori». Per l'economista della Bocconi «quello che costa caro all'Italia non è tanto il tasso cambio, ma l'incapacità di fare investimenti all'estero o nella distribuzione. E' il fatto di avere una dimensione piccola delle imprese, con assenza di grandi imprese che negozino con gli oligopoli o con le grandi catene distributive - spiega Onida - che in prospettiva mette a rischio l'esistenza stesa del Made in Italy».
Persone citate: Alessandra Benedini, Benedini, Fabrizio Onida, Giada Giani, Guidalberto Guidi, Onida
Luoghi citati: Francia, Germania, Italia, Olanda, Stati Uniti
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