«Lo sport è gioco, non stress» di Daniela Cotto

«Lo sport è gioco, non stress» L'EX CALCIATORE GIANNINI: «GLI ADOLESCENTI USANO SOSTANZE PROIBITE PER REALIZZARE I SOGNI DEI GENITORI» I «Lo sport è gioco, non stress» L'obbligo di vincere dietro al doping fra i ragazzi Daniela Cotto TORINO Stressati. Sotto tensione agonistica. E anche a rischio doping. Non sono i ciclisti impegnati al Giro d'Italia, ma i nostri figli. Sul banco degli imputati, i genitori. Accusati di creare piccoli mostri incapaci di tollerare anche la più banale delle sconfitte in nome dell'agonismo. L'allarme arriva da più fronti. L'ultimo, in ordine di tempo, è di Giuseppe Giannini, ex capitano della Roma, ex della Nazionale, scelto come testimonial dalla Regione Lazio per la nuova proposta di legge sul doping. «Attenzione. Uno dei motivi per cui i ragazzi ricorrono a sostanze proibite - ha detto l'ex azzurro - sta nelle tensioni che i genitori trasmettono ai figli. E' ora di dire stop». Parla per esperienza, Giannini. «Il Principe», soprannominato così negli Anni '90 per l'eleganza che esibiva in campo, è a stretto contatto con i ragazzi: a Roma dirige una scuola calcio. «Da due anni lavoro con loro - spiega -. I giovani spesso ricorrono al doping per dimostrare qualcosa ai loro padri e alle loro madri». Tradotto: educhiamo i genitori, coloro che devono educare. E dovrebbero lasciare liberi i pargoli: liberi di crescere divertendosi. La denuncia di Giannini arriva poco dopo che la Figc ha deciso di varare le nuove regole per i campionati dei pulcini (8-10 anni) e degli esordienti (10-12). Regole che aboliscono le classifiche e il rischio di una esasperata competitività. A partire dai primi dribbling. Il rischio-stress esiste. Lo conferma Nelli Tresso, psicoterapeuta che si occupa di minori: «Sì, sono stressati. I bambini hanno il diritto di annoiarsi, di stare anche senza far nulla. Questo, però, non viene accettato. I bimbi di oggi non hanno più né spazio ne tempo intemo. Tutto viene giocato sul tempo estemo, diverso da quello degli adulti. Le conseguenze? Disturbi psicosomatici». Tilde Giani Gallino, docente di psicologia dell'età evolutiva all'università di Torino, analizza: «E' una realtà drammatica. Ho parlato con molti allenatori. Sono soprattutto i padri ad imporre questi ideali. Non è solo il miraggio del guadagno a guidarli. C'è un aspetto legato all'immagine, al prestigio. Avere un figlio che viene convocato in squadra ha un significato sociale. E' un classico: il padre si realizza così. I bambini eseguono, non hanno ancora la capacità di pensare. Pensiamoci bene. E' tragico se le speranze dell'aspirante campione vengono deluse. Di tutta quella fatica resta poco. I genitori che spingono i bimbi all'agonismo dovrebbero essere molto cauti». Passa la palla agli allenatori Giancarlo Camolese, ex tecnico del Torino, giubilato in quest'anno di dolori, orgoglio e marce, ora in attesa di sistemazione: «Spetta a loro spiegare il significato del calcio. Devono trasmettere l'importanza dei valori educativi in campo e fuori». Lui, con i suoi due figli, una ragazza di 21 anni pallavolista e uno che gioca a calcio, ha sempre ragionato così. «E' lo stile di vita che conta. Inutile fare pressioni. Il calcio è selettivo: solo pochi arrivano». Di sport e figli Dino Meneghin, 53 anni, primo giocatore italiano di basket ad essere inserito nella «Hall of Fame» americana (il secondo in assoluto dopo Cesare Rubini, tecnico del Simmenthal Milano degli anni '60), se ne intende. Dino passò le consegne al figlio Andrea il 14 ottobre 1990 al palasport di Masnago (Varese): i due nella partita Varese-Stefanel Trieste giocarono contro. Il loro rapporto non è stato sempre facile, ma Meneghin senior ha srotolato la matassa trovando la soluzione giusta: non è mai intervenuto nelle scelte dell'allenatore di Andrea. La sua battuta preferita racchiude l'ironia e l'intelligenza di un grande: «Sa quali sono i coach vincenti? Quelli che allenano una squadra di orfani». Poi ci pensa un po' e aggiunge: «Non penso che i giovani si dopino. Mi rifiuto di crederlo. Sono d'accordo sull'allarme stress. I genitori non devono intervenire sulle scelte tecniche. Con Andrea ho fatto così. Non gli ho mai detto nulla, mi sono sempre fidato dei suoi allenatori, persone molto competenti». Aggiunge: «Il nostro compito è far capire ai figli che la sconfitta è utile. Quando vinci ti esalti, quando perdi pensi, rifletti e capisci. E cresci». Dal basket al canottaggio, da Dino Meneghin a losefa Idem, madre di Janek, 8 anni, in attesa ora del secondo figlio. Lei, tedesca con passaporto italiano, olimpionica di canoa, difende il suo picco- lo con il piglio di una leonessa: «Mio figlio è un patito di calcio. Non lo seguo negli allenamenti. L'unica prestazione che mi interessa è quella scolastica. Il doping? Dietro c'è sempre un allenatore che pretende, un medico che dà, una società che obbliga. E' importante avere un buon rapporto con i figli. Così certe cose si intuiscono e sono loro stessi a parlarne». Alla fine, cari genitori, volete sapere il vero segreto dei campioni? Uno solo: l'amore. L'amore per lo sport e il gioco. Parola di Meneghin. La psicologa Gallino: «Spesso sono i padri ad imporre questi ideali per motivi di immagine e prestigio» Meneghin: «Dobbiamo far Capire Che la SCOnfitta è Utile» losefaldem:«Sesiha un buon rapporto con i figli certe cose si intuiscono e sono loro stessi a parlarne» Dino Meneghin Un gruppo di ragazzini impegnati in una partita di calcio Antonio Cabrini

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