Torino, la «grande trasformazione»

Torino, la «grande trasformazione» LA SCOMMESSA DELLA CAPITALE DOPO GLI ANNI DELL'IMMOBILISMO Torino, la «grande trasformazione» La nuova stagione è partita grazie all'interramento della ferrovia In pochi anni sono cambiati i luoghi del loisir e quelli della cultura e l'innovazione tecnologica prova ad affiancare l'industria pesante analisi amplerò Pavlolo QUANDO una città cambia, di solito lo fa perché costretta da ragioni economiche. E Torino non è un'eccezione. La differenza è che qui la Grande Trasformazione nasce «anche» dal declino dell'industria pesante. Ma non solo. A innescarla, più o meno venti anni fa, fu l'intuizione degli architetti chiamati a ridisegnare il tessuto urbano con un piano regolatore atteso dal 1959. Le urgenze erano più d'una: il mercato edilizio bloccato, gli stabilimenti costruiti lungo la Dora e soprattutto attorno alla ferrovia all'inizio del secolo e in fase di progressivo smantellamento, il centro storico a pezzi, il calo della popolazione residente e la crescita degli «utilizzatori della città», coloro che abitano fuori e sotto la Mole vengono per studio o lavoro. Il rischio, in una parola, era la «liverpoolizzazione»: meno posti di lavoro, calo del reddito pro-capite, il degrado prima fisico e poi sociale. Il colpo di fortuna arrivò grazie alla ferrovia. Costruiti in periferia a fine Ottocento, e progressivamente ingoiati dall'allargamento della cinta daziaria, i binari disegnavano una sorta di ferita nel cuore della città, separando i borghi eleganti da quelli operai sorti negli anni della rivoluzione industriale. A smuovere le acque fu il progressivo mutamento delle Fs in azienda privata, predestinata nei disegni del Governo a produrre utili o quanto meno a ridurre le perdite. Quindi: miglioramento del servizio, acquisizione di nuovi clienti, riduzione del personale. Ma anche ricavi dalla più promettente risorsa a disposizione: il sottosuolo. Il ragionamento era semplice: far passare i treni sottoterra e utilizzare gli spazi in superficie. Per Torino questa operazione, solo in apparenza semplice, significava recuperare milioni di metri quadri, ma soprattutto suturare la vecchia ferita e immaginare un nuovo centro, alternativo a quello disegnato dalla storia. Pensando la città come un unico «corpus», gli architetti Gregotti e Cagnardi battezzarono «Spina» quella lunga linea che dalla periferia Nord raggiungeva il Lingotto. I treni sarebbero transitati sotto, in tre gallerie e l'operazione doveva costare circa 2000 miliardi delle vecchie lire. Era nato il «passante». I lavori, forse, finiranno nel 2008: ma già ora, lungo corso Mediterraneo, i torinesi possono apprezzare un lungo boulevard sorvegliato da palazzi eleganti e presto, attorno al Palazzo di Giustizia, sorgerà una cittadella culturale d'avanguardia. Il «passante» collegherà Torino con la Lombardia attraverso la linea ad alta velocità: la corsa sotterranea dei treni si dovrebbe interrompere in periferia, per riprendere verso la Francia e Lione. Se e quando Parigi deciderà cosa fare del progetto. Ma questa è un'altra storia. Le Grandi Trasformazioni hanno bisogno di simboli. «Spina» e «passante» lo sono stati per Torino. Lungo la Dora sono nate e continuano a nascere piccole aziende ad elevato contenuto tecnologico, che regalano all'ex capitale sabauda il ruolo di capitale dell'economia senza fili, grazie al più alto contenuto di innovazione e una sistematica cablatura della rete. E' una delle scommesse di un futuro che sarà ancora manifatturiero e ancora Fiat, ma con il peso della grande industria destinato a ridursi. Attorno a questi simboli la città ha comincialo a costruirne altri. I luoghi del loisir, dai Murazzi al quadrilatero romano che ha visto moltiplicarsi in pochi anni decine di locali e piccoli ristoranti nel vecchio e malandato quadrilatero romano, oggi affollatissimo luogo di ritrovo. Analoga, e sofferta ricostruzione dà i primi frutti a Borgo Dora, dove ha sede il Balon ma dove si sono svolti per anni i traffici meno leciti. Mentre lavora sui grandi progetti del museo Egizio e della Reggia di Venaria, la Torino della cultura ha lanciato il mu- seo del cinema, facendo del più simbolico e inutile monumento della città, la Mole, il punto di partenza per una serie di iniziative economiche che attendono ancora la reale partecipazione della Rai. Al Lingotto, dentro la vecchia fabbrica ridisegnata da Renzo Piano, c'è un nuovo polo di attrazione per divertimento e cultura, che attende e in qualche modo anticipa la rinascita di un quartiere operaio tra i più caratteristici, ma anche tra i meno dinamici. Già si pensa, a un nuovo museo dell'auto, che parta dallo straordinario patrimonio a dimora lungo il Po e grazie alle tecnologie più avanzate diventi anche un appuntamento per le famiglie. La Grande Trasformazione investe la politica del traffico: gigantesce talpe sventrano lentamente (un po' troppo) il cuore di Torino: tra pochi anni, attesa da mezzo secolo, arriverà la linea 1 del metrò, dalla cintura Ovest a Porta Nuova e poi al Lingotto. Si lavora a nuovi parcheggi, forse nel cuore delle piazze simbolo, Vittorio e San Carlo, si pensa un altro ponte sul Po. E' già in fase di studio la seconda «Spina», con l'interramento dei binari da Porta Nuova al Lingotto, l'eliminazione di tre ingombranti cavalcaferrovia e la creazione di un enorme spazio di superficie per verde, case, uffici. Le Olimpiadi, infine, con il dichiarato intento di non ripetere le splendide foibe di Italia '61, quindi di costruire palazzi destinati a resistere nel tempo e a essere riutilizzati. Ne abbiamo parlato diffusamente ieri, quando è partito il lungo conto alla rovescia che tra mille giorni ci porterà alla cerimonia di inaugurazione nel vecchio stadio comunale (altra opera di riqualificazione che interesserà l'intera zona di corso Sebastopoli). Un accenno merita l'idea, non anco- ra tradotta in realtà, di costruire nell'area degli ex mercati generali, in via Giordano Bruno, la nuova cittadella della salute, meglio conosciuta come Molinette 2. Operazióne che libererebbe a due passi dal Po un'altra vastissima area. La città divisa, che in politica conosce da molti anni un equili¬ brio quasi perfetto e sperimenta una efficace forma di collaborazione istituzionale tra il Comune di centro-sinistra e la Regione di centro-destra, sta per affrontare altri cinque anni decisivi per la propria storia. Le due emergenze ancora vive: la crisi economica, che ne ha ridotto la capacità di piena occupazione ma ha pure stimolato la creazione di anticorpi destinati a durare nel tempo, e l'immigrazione dal terzo mondo che ha scosso coscienze e convinzioni, e provocato in alcuni quartieri (in particolare San Salvarlo e Porta Palazzo) ferite ben lontane dall'essere rimarginate. Dieci anni fa, quando il professor Castellani iniziò la sua prima e vittoriosa scalata a Palazzo Civico, il problema non era neppure all'ordine del giorno dei numerosi programmi elettorali. Oggi è una delle risposte che i cittadini con più forza pretendono dal sindaco nelle sue settimanali chiacchierate ai microfoni di una radio locale. La Grande Trasformazione è anche questo. Ife^ Vent'anni fa ^P™ il rischio era una città ripiegata in calo di ricchezza e popolazione Le nubi sono rimaste ma sono nati gli anticorpi Q9 I lavori della metropolitana che collegherà la cintura Ovest con Porta Nuova: di Ili trenini si dirigeranno in una fase successiva al Lingotto

Persone citate: Cagnardi, Gregotti, Renzo Piano