La normalità dell'infanzia calpestata di Elena Loewenthal
La normalità dell'infanzia calpestata La normalità dell'infanzia calpestata Elena Loewenthal . ALLA Fiera del Libro c'è un grande spazio per i bambini: invece di transenne nere, lo delimita una siepe di fiori ed erba fatta di spugna colorata, che la tocchi ed è morbida, ci caschi addosso e non ti fa niente, anzi solletica. Dentro, i ripiani dei libri sono ad altezza di bimbo, e anche i cartelli. Intorno ai tavoli scorazzano gambette e capelli di tutti i colori, qualche carrozzina; qualcuno si siede per terra tanto qui c'è la moquette, non il cemento. Tutto è facile e variopinto. Poco lontano, quattro enormi poltrone di stoffa stanno lì quasi a mo' di scherzo: servono ai grandi per provare a sentirsi piccoli in un mondo di grandi, come Gulliver. Prima di sprofondarci dentro, bisogna arrampicarsi con fatica: giunti in cima, ci si sente goffi e buffi, soprattutto impauriti. Chissà quanto più gigantesco e smisurato appare il mondo a Daniel, che lo vede riflesso negli specchietti retrovisori delle automobili ferme al semaforo. Daniel (il nome di un eroe biblico che al solo parlare rende mansueti i leoni) non ci arriva a lavare i vetri grandi, quelli con il tergicristallo, anche se si alza in punta di piedi. Però, gli piace «tantissimo» lo stesso, questo lavoro da mattina a sera per racimolare di che sfamarsi, lui, mamma e fratellini più piccoli. La sua non sembra una storia di degrado e mortificazione. E di certo nonio è per lui, che lava specchietti sotto gli occhi amorevoli di sua mamma sapendo di fare una cosa importante, anzi indispensabile. E' un bambino dall'aria pulita, vestito con decoro, quasi con garbo: di quei bambini che solitamente vedi sciamare fuori da scuola giù per le scale con lo zaino che balla dietro le spalle. Invece abita la strada, per sopravvivere. In fondo sarebbe più rassicurante immaginarlo sporco e stracciato, lo sguardo perso fisso dentro la disperazione. Così ci si figura i bambini di strada, quelli che abitano in luoghi molto distanti da qui, irraggiungibili dai nostri sentimenti: sobborghi di metropoli indiane, favelas dell'altro emisfero. Daniel invece, insieme ai tanti bambini di strada delle nostre parti, assomiglia talmente ai nostri figli che non lo riconosci. Forse è proprio questa la cosa che fa più paura, trovando la sua storia al rosso di un semaforo, e scoprendo così che anche il tuo mondo è abitato da tanti bambini di strada, mimetizzati dentro una specie di normalità finché qualcuno non li chiama per nome e si fa raccontare la loro storia.
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