La buona alimentazione a tavola rivendica attenzione al territorio

La buona alimentazione a tavola rivendica attenzione al territorio La buona alimentazione a tavola rivendica attenzione al territorio L'esempio inglese con la ristorazione sul modello dei «pit stop» e la grande difficoltà dei produttori di buoni formaggi e carni è un chiaro monito contro l'invasione del cibo precotto e monodose Carlo Petrini IL lavoro che faccio mi porta spesso a dover considerare le storture che si sono create in Italia in seguito alla predommanza dell'agroindustria e dell'industria alimentare. Spesso prendo atto della crescente ignoranza in materia gastronomica, intesa come cultura della produzione, della trasformazione e del consumo del cibo. Altrettanto spesso ne scrivo su queste colonne, magari dipingendo scenari poco allegri o raccontando le malefatte di qualche operatore un po' irresponsabile: la monocultura che rovina il paesaggio, il diluvio dell'omologazione produttiva sulla biodiversità e sulle conoscenze contadine, cibi rischiosi per l'ambiente e per la salute, dubbie operazioni economiche che non mettono mai in conto la centralità culturale del cibo. Dopo un viaggio in Inghilterra, tuttavia, devo riconoscere che rispetto alla terra d'Albione non siamo poi così male: abbiamo le nostre belle pecche e i nostri begli errori sulle spalle, ma resta una situazione decisamente migliore rispetto alla tabula rasa che ho potuto vedere laggiù. Le amene campagne inglesi, di cui tutti noi abbiamo un'immagine chiara quanto realistica, fatta di dolcezza del paesaggio, tanto verde e poche brutture architettoniche, in realtà sono in ginocchio. Dopo mucca pazza e l'afta epizootica, le già poche produzioni di qualità si sono ridotte al lumicino e il tutto paga dazio a una cultura del cibo impressionante per la sua desolatezza. Basta andare a Londra e notare che in ogni angolo delle strade è tutto un fioccare di luoghi che vendono cibo, ma si deve davvero faticare per trovare qualcosa di buono. Tutto, dal fish and chip tradizionale alla moltiplicazione dei franchising di ogni foggia, dai ristoranti discutibili ai pub, lascia trasparire una considerazione del cibo quasi automobilistica: da pitstop, da rifornimento veloce. Il fatto che ad esempio la guida Michelin si trovi costretta a regalare le sue famose stelle a locali affollati e modaioli, che null'hanno da spartire con la sana e classica istituzione del ristorante (se non il cibo, che è appena apprezzabile e a prezzi esorbitanti), è decisamente sintomatico di un malessere profondo. Che mi si venga poi a dire che a scuola i bambini inglesi incominciano a confessare che a casa loro non hanno la cucina, perché sarebbe ritenuta uno spreco di spazio, ha addirittura dello sconvolgente: sarebbe impensabile in Italia. I pochi produttori di buoni formaggi, di buone carni, di alimenti tradizionali, per esempio, devono sorbirsi ogni settimana dai duecento ai seicento chilometri per andare a vendere la loro merce nei mercati di Londra: è pazzesco, non trovano clienti nel loro territorio. A Londra è un poco più facile, si riesce a spuntare l'unico prezzo remunerativo e c'è ancora ima piccola minoranza di persone che sa riconoscere il valore dei loro prodotti. Entrare in un normale supermercato è traumatizzante per l'italiano medio: soltanto file imponenti di ogni sorta di cibo precotto e monodose. I più sciovinisti staranno giù esultando: quanto siamo bravi in Italia, quante bontà ci regala la nostra agricoltura. In realtà racconto questa desolazione perché dovrebbe servire da monito, a chi si lustra gli occhi con l'ultraproduttività e a chi appoggia le scelte dell'agroindustria. L'agricoltura massiva e l'ignoranza sulle materie prime ci portano dritti a questa situazione. In Inghilterra ci invidiano, sono affascinati dalla nostra cultura del cibo. Alcuni, i più volenterosi, stanno strenuamente tentando di costruirsene una, perché è rimasto pochissimo. Ripartono da lì: lottano per fare i formaggi a latte crudo (ci sono tre Cheddar a latte crudo in tutta la nazione, eccezionali, ma tre in tutto, sommersi da tonnellate di Cheddar industriale a fettine), difendono a spada tratta i pochi esemplari di razze autoctone risparmiati dall'omologazione e dalle epidemie, in città nascono addirittura associazioni per la difesa e la salvaguardia dei contadini. Prima di esultare io rifletterei bene sulle scelte che stiamo facendo e chiuderei la stalla, prima che scappino tutti i buoi.

Persone citate: Carlo Petrini, Michelin

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Londra