La 'ndrangheta perde i suoi capi canavesani

La 'ndrangheta perde i suoi capi canavesani DECAPITATI I CLAN FAMILIARI DEGLI INZILLO E PENTIMALLI La 'ndrangheta perde i suoi capi canavesani Quattordici in manette, sospettati anche per i delitti Forgione e Giancotta Giorgio Ballario HLodovico Poietto Lodovico Poìetto La prima volta che tentarono d'ammazzarlo, lo aspettarono di notte, sotto casa. I killer avevano passamontagna e pistole semiautomatiche e spararono trenta colpi. Otto gli trafissero il corpo, ma lui sfuggì all'agguato con una corsa a perdifiato e il sangue che sgorgava come una fontana. «Quella gente io non l'ho mai vista né conosciuta...» disse allora ai carabinieri Salvatore Caghoti, un carpentiere quarantasettenne, con casa a Strambino e amicizie in Calabria, da dov'era emigrato giovanissimo. «Allora» era il mese di luglio di tre anni fa. Da quel giorno hanno tentato almeno altre quattro volte di ammazzare quest'uomo, che aveva detto di non avere nemici né conti in sospeso. Sei mesi dopo provarono a farlo saltare in aria con il suo furgoncino, come succedeva fra clan mafiosi della Chicago Anni 30 con chi tradiva le leggi della famigha. Quella volta Caglioti si salvò senza un graffio. In altre tre occasioni qualcuno ha progettato di farlo fuori nei modi più strani. Se è ancora vivo lo deve ai carabinieri e alla polizia che, sotto la guida della Direzione distrettuale antimafia, da mesi indagavano su quegli episodi. E sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nel Canavese. Seguivano, cioè, piste che portavano a famiglie calabresi con forti agganci in questa fetta di territorio a cavallo tra Torino e Valle d'Aosta. Una zona ancora vergine e libera da influenze di altre famiglie malavitose, legate ad altri clan più o meno noti. E proprio per il controllo di questo terreno, negli anni, sarebbe stato versato un fiume di sangue. Al centro degli interessi delle bande c'era di tutto: dai soldi falsi, buoni per bidoni colossali, alla cocaina, fatta arrivare direttamente dal Sud e smerciata in quantità. E Caglioti che c'entrava con questa gente? Non strettamente collegato a nessuna «famigha», ma con qualche amicizia ((pericolosa», potrebbe aver dato fastidio a qualcuno di importante. Forse - sospettano gli investigatori - ha pestato i piedi a chi organizzava i traffici, dirigeva le operazioni e teneva i contatti con i clan al Sud. Oppure ha cercato di inserirsi in un gioco troppo grande per lui. L'operazione della Dda (concretizzata dalla sezione Criminalità organizzata della Squadra Mobile, dai carabinieri del comando provinciale di Torino e della compagnia dell'Arma e dal commissariato di Ivrea), che ha portato in carcere quattordici persone e ha decapitato i clan familiari degli Inzillo e dei Pentimalli, ha dimostrato questo e molto altro ancora. Ad esempio ha ricondotto alla faida tra cosche calabresi - senza però dimostrarne dirette responsabilità alcuni omicidi avvenuti negli ultimi anni nella zona di Ivrea. Come l'assassinio di Vincenzo Forgione, freddato la notte del 15 novembre '98 sotto casa, a Ivrea. Venne raggiunto da 8 colpi calibro 7,65 ma, nel complesso, i sicari armati di mitraghetta gli scaricarono addosso una trentina di proiettili. Oppure l'esecuzione di Francesco Giancotta, 45 anni, amico di Forgione, ucciso 1' 11 giugno del 2000 a Strambino. In manette con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione e tentato omicidio, sono finiti cinque fratelli Inzillo e tre componenti della famigha Pentimalli, oltre ad altri personaggi di contomo che si muovevano fra il Canavese, Roma e la Calabria. Secondo i sostituti procuratori Anna Maria Loreto e Marcello Tatangelo, che hanno coordinato l'attività di polizia e carabinieri con il vicequestore Claudio Cracovia e il maggiore Mauro Masic, il capo indiscusso della banda sarebbe Mario Francesco Inzillo, un impresario edile di 35 anni, che vive a Romano Canavese. Era lui a tenere i contatti con le famiglie di Piatì (Reggio Calabria) per rifornire l'organizzazione di eroina da smerciare fra Ivrea e Canavese. Le forze dell'ordine hanno anche arrestato il suo gemello Pietro e altri tre fratelli: i gemelli Salvatore e Nicola, di 30 anni, e il più anziano del gruppo, Bruno, di 40 anni. Sono finiti in manette anche i fratelli Nicoletta e Salvatore Pentimalli, 22 e 25 anni, di Strambino; e lo zio Michele Pentimalh, 48 anni, di Romano Canavese. La sua bottega di parrucchiere, a Strambino, era punto di riferimento dei malavitosi che qui si riunivano per mettere a punto strategie e azioni. Gli altri arrestati sono: Vincenzo Carchedi, 43 anni, e Filippo De Masi, 43 anni, due carpentieri di Roma accusati di aver fornito i detonatori per l'attentato a Caglioti; Angelo Aiello, 27 anni, di Chambave (Aosta), che avrebbe procurato l'esplosivo; Carmelo Marzola, 34 anni, di Saint-Vincent e l'imprenditore eporediese Pier Giorgio Scali, 38 anni, titolare di una ditta di asfalti. E' accusato di aver simulato il fiuto di pistole e fucili regolarmente denunciati che sarebbero stati ceduti alla famiglia Inzillo per coprire i debiti accumulati per la fornitura di droga. Un piccolo arsenale è stato invece scoperto a casa di Gaetano Masones, 37 anni: nella sua abitazione di Saluggia (Vercelli) gli inquirenti hanno rinvenuto due pistole semiautomatiche, un revolver, una Smith 6r Wesson calibro 32 e 300 cartucce. Decapitata l'organizzazione restano da chiarire alcuni passaggi ancora oscuri. Ma adesso, nel Canavese, le armi della 'ndrangheta sono scariche. Fra le accuse anche i ripeterti tentati omicidi (ci provarono 4 volte) di Salvatore Caglioti carpentiere di Strambino con amicizie in Calabria E poi un curriculum ricco di soldi falsi e traffico di droga Francesco Giancotta, 45 anni, amico di Forgione, fu ucciso l'I 1 giugno 2000 a Strambino MB MBBJMHI Il maggiore Masich, il procuratore Laudi, il sostituto procuratoreTatangelo e il capo della Mobile Cracovia alla conferenza stampa OH H M IH