Wenders: «Canto il blues, voce degli emarginati d'America»

Wenders: «Canto il blues, voce degli emarginati d'America» Wenders: «Canto il blues, voce degli emarginati d'America» IL REGISTA TEDESCO PRESENTA A CANNES «THE SOUL OF A MAN», VOLUTO E PRODOTTO DA SCORSESE È il primo lungometraggio di una serie composta da sette titoli sulle radici di un ritmo che ha influenzato le popolazioni di tutto il mondo. Tra gli interpreti anche Lou Reed Fulvia Caprara inviata a CANNES Storie di blues raccontate, a metà strada tra realtà e finzione, con il gusto personale di un regista appassionato di musica: in anteprima al Festival Wim Wenders ha presentato ieri «The soul of a man», primo lungometraggio della serie «The blues» composta da sette titoli e voluta da Martin Scorsese che ne è il produttore esecutivo. Alla ricerca delle radici di un ritmo che ha profondamente influenzato le popolazioni di tutto il mondo, hanno lavorato al progetto, oltre a Wenders, lo stesso Scorsese che sta montando «From Mali to Mississippi»; CUnt Easfwood che ha girato «Piano Blues» e poi Mike Figgis («Red, White and Blues»), Charles Bumett («Warming by The Devil's Pire»), Marc Levin («Godfather and Sons»), Richard «Pearce («The Road to Memphis»). Con lo stesso sguardo attento e affascinato che aveva caratterizzato il documentario «Buena Vista Social Club», Wenders ha scelto di mettere al centro della sua narrazione i tre artisti blues che preferisce: Skip James, J.B.Lenoir, Blind Willie Johnson. Le immagini di repertorio si mescolano alle scene recitate da attori e alle interpretazioni dei musicisti contemporanei che si sono cimentati in alcuni brani dei tre leggendari bluesmen: da Lou Reed a Nick Cave, da Cassandra Wilson a Los Lobos, da Jon Spencer Blues Explosion a Bonnie Raitt. «Queste canzoni - ha dichiarato Wenders - significavano tutto per me. Sentivo che c'era più verità in loro che in qualsiasi altro libro avessi letto sull'America, o in qualsiasi film avessi visto. Ho cercato di descrivere, più come in una poesia che in un documentario, ciò che più mi ha commosso delle loro musiche e delle loro voci».. Qual è, secondo lei, il valore più importante del blues? «Il blues è l'espressione musicale delle classi sociali più basse degli Stati Uniti, degli emarginati veri. I musicisti l'hanno usata per parlare di condizioni sociali, ma anche di valori spirituali. Molto di più del rock, il blues non è solo accordi di note, ma un modo per parlare della gente». Come è nata la collaborazione con Martin Scorsese? «Da tempo lui aveva questo progetto nella testa, mi ha chiesto di andarlo a trovare a New York, abbiamo parlato a lungo, era giusto che ogni regista scegliesse una sua strada personale. Conoscevo già molto bene la musica blues, fare questo film è stata per me un'occasione formidabile per entrare nelle storie dei suoi protagonisti». Perchè ha inserito le performance di musicisti di oggi come Lou Reed? «I giovani conoscono poco il blues, perciò ho invitato con piacere musicisti in grado di avvicinare le ultime generazioni a quel tipo di espressione musicale». Durante la lavorazione qual è stato l'elemento che Iha maggiormente colpita? «L'America sembra un Paese ricco' che ha risolto tutti i problemi e invece, soprattutto mentre giravo le scene sul Mississippi, ho capito che esistono zone terribilmente depresse, dove la gente, ancora oggi, vive in condizioni disperate, di estrema povertà. Da terzo mondo». Qual è il suo rapporto con l'America? «C'è una bella differenza tra il giudizio riguardante l'amministra¬ zione del Paese e quello sulle persone che ci vivono, sui luoghi, sui paesaggi. Secondo me, in questa fase, il problema più grave degli Stati Uniti è nel conflitto tra il potere e la gente che non ha nessun tipo di informazione politica. Voglio dire che si sa tutto della cronaca, ma niente di quello che avviene davvero nelle stanze di chi detiene il potere reale sul Paese. Tra l'altro gli americani viaggiano poco e adesso lo fanno ancora di meno perchè hanno paura». Sta lavorando a un nuovo film? «Si, girerò negli Stati Uniti un film scritto da Sam Shepard intitolato "Don't come knocking". E' una specie di western ambientato nel ventunesimo secolo, con più automobili che cavalli. Una storia tragicomica, girata nel Montana, con una famigha protagonista». Il Festival ha ospitato in questo giorni un ampio dibattito sul cinema europeo: qual è la sua posizione su questo tema? «Non si può dire che, in questo periodo, il cinema europeo stia molto bene. Eppure io sono convinto che l'Europa unita non si può fare solo con i numeri e che è invece necessario creare un legame tra le emozioni e i sentimenti. Le immagini del nostro cinema possono servire a rappresentare l'anima complessiva dell'Europa». A Cannes lei è già venuto molte volte e anche quest'anno, oltre che per presentare «The soul of a man», è qui in veste di presidente della giuria della «Camera d'or», il premio riservato agli esordienti. Qual è stata la volta in cui si è divertito di più? «Quando ho guidato la giuria del Festival. Un'esperienza veramente bellissima. Quell'anno, per la prima volta, la Palma d'oro è andata a un debuttante, Steven Soderbergh, regista di "Sesso, bugie e videotape"». Tra gli ultimi film che ha visto, quale le è piaciuto di più? «Ho amato moltissimo "The hours"un vero film di attori». Wim Wenders è stato nel 1989 presidente della giuria del Festival di Cannes