Eco insegna le regole del mestiere di Gianfranco Marrone

Eco insegna le regole del mestiere Eco insegna le regole del mestiere Gianfranco Marrone L commissario Montalbano ha i. baffi? Per quanto si tratti di imo deipersonaggi attualmen1 te più famosi in Italia, non c'è una risposta univoca a questa domanda. Dipende dalle versioni. Nelle pagine di Camilleri, anche se una volta si accenna a dei 'baffetti", manca un'accurata descrizione fisica del celebre poliziotto di Vigàta. Nella rappresentazione televisiva di Zingaretti c'è un'ombra di barba ma niente baffi. In una meno nota raffigurazione a cartoni animati lo stereotipo del viso scuro adomo di mustacchi è ben presente. Alla radio la questione è del tutto ininfluente. Potremmo dire: chiediamolo all'autore; che però, interrogato in proposito, s'è spesso schermito. Oppure: lasciamolo stabilire ai suoi numerosi fans. Sì, ma quali? I lettori, i telespettatori, gli amanti del fumetto, gli ascoltatori radiofonici? Insomma, la faccenda va discussa, non foss'altro perché ogni possibi¬ le risposta implica complesse decisioni preventive circa la natura di un personaggio, la sua proprietà da parte di un autore, la sua fortuna presso il pubblico, la sua gestione estetica ed editoriale. Una domanda oziosa suscita interrogativi tutt'altro che ovvi. Qualcosa del genere viene mostrato nell'ultimo libro di Umberto ^co, Dire quasi la stessa cosa (Bompiani, pp. 391,118), dedicato all'intricata questione della traduzione, sia essa la traduzione propriamente detta, quella fra due lingue, come anche quella fra testi appartenenti a linguaggi diversi come la letteratura, la pittura o il cinema. La pratica del tradurre, sostiene Eco, richiede un costante esercizio di pazienza e di umiltà (tant'è che spesso non viene sufficientemente valorizzata), ma anche e soprattutto una serie di impegnative decisioni circa il testo che si deve "voltare" da una versióne di partenza, già data, a una nuova, tutta da costruire. Il traduttore compie cioè, in modo più o meno intuitivo, più o meno riflesso, una serie di operazioni molto delicate, che comportano una grande quantità di prese di posizione sull'eventuale rispetto da tributare all'autore, sull'ausilio da fornire al lettore, sulla cultura di riferimento dell'uno e dell'altro, sugli obiettivi comunicativi del testo, il suo stile, la sua musicalità, la sua collocazione storica e così via. La questione della traduzione si fonda, ricorda Eco, su un paradosso; se pure in linea di principio è impossibile una traduzione perfetta, dato che non esistono due lingue strutturalmente sovrapponibili, la pratica del tradurre è al tempo stesso necessaria e diffusissima. Le lingue sono fra loro incommensurabili, restando comunque perfettamente comparabili. Tanto vale allora, più che discutere che cosa sia e in che cosa consista teoricamente la traduzione, esplorare che cosa accade in effetti nel corso dell'esperienza del tradurre. Esperienza che Eco ha fatto personalmente, pon solo traducen¬ do testi complessi come gli Esercizi di stile di Queneau o Sylvie di Nerval, ma anche discutendo fittamente con i molteplici traduttori dei suoi romanzi, nonché, in qualità di redattore e responsabile di collana, rivedendo traduzioni altrui da destinare alla stampa. Ne viene fuori una ricchissima raccolta di esempi e di casi concreti, che prendono in considerazione autori e testi di epoche e culture diverse, da Joyce ad Aulo Gallio, dalla Bibbia a Eliot, da Manzoni a Poe. Più che un libro di traduttologia, ecco insomma il racconto di una serie di problemi e di quelle che Eco chiama "negoziazioni", ossia delle soluzioni volta per volta adottate, sulla base delle decisioni ritenute localmente pertinenti. Tradurre non è, allora, essere più o meno fedeli, più o meno traditori, secondo un filone di pensiero un po' moralistico. È semmai attuare continue forme di compromesso fra i vari elementi in gioco: l'autore, il lettore, il testo e, perché no? Il traduttore medesimo. Ma nel libro c'è in realtà molto di più, in quanto ognuno dei casi concreti ricordati da Eco evoca problemi filosofici e semiotici molto deheati, che vengono regolarmente esposti e discussi. Ed ecco allora passare in rassegna i principali concetti dell'attuale riflessio- ne sul linguaggio: la natura del significato, la centralità dell'interpretazione, la relazione fra schemi cognitivi e culture di riferimento, il referenzialismo, l'intertestualità, la relazione fra codici che usano materie sensoriali diverse, gli effetti visivi della lingua verbale e così via. Scopriamo in tal modo che la pratica della "negoziazione" non è relativa soltanto all' esperienza traduttiva, ma è presente più in generale ogni qualvolta riconosciamo il significato di una parola o di un intero testo, ma anche attribuiamo un certo senso agli elementi diversi del mondo che ci circonda. Da questo punto di vista. Dire quasi la stessa cosa continua il lavoro di ricerca avviato da Eco in precedenti volumi teorici, soprattutto Lector in fabula (1979) e Kant e l'ornitorinco (1997), dove già il principio della condivisione intersoggettiva del significato e della cooperazione interpretativa erano esposti in tutta la loro centralità. Laddove in quei libri venivano esposte le basi teoriche generali della cooperazione e della negoziazione, quest'ultimo volume le discute nuovamente, e le riafferma, sulla base di un problema al tempo stesso centrale e specifico qual è, appunto, quello della traduzione. Centrale perché evoca i principali fenomeni linguistici e comunicativi. Specifico perché la traduzione viene comunque intesa da Eco sotto l'egida dell'interpretazione. Se ogni traduzione è una forma di interpretazione, non vale per questo il contrario: l'interpretazione è per Eco un fenomeno semiotico più generale. Da qui la pertinenza dei presunti baffi del celebre commissario di Vigàta: metterli o meno non è solo un problema di traduzione fra linguaggi, ma anche di lettura del personaggio e con essa di visione del mondo.

Luoghi citati: Aulo, Italia