Soucy squarcia i veli del Quebec
Soucy squarcia i veli del Quebec Soucy squarcia i veli del Quebec Gabriella Bosco GIRA tutto intomo al problema dell'identità il romanzo di Gaétan Soucy, La bambina che amava troppo ifiammiferi (Marcos y Marcos, p. 191, C 13). Protagonista e narratore della vicenda è qualcuno che parla di sé al maschile pur dando elementi e descrizioni del proprio corpo che corrispondono all'altro sesso. Qualcuno di non molti anni, ancora adolescente, cui è stata a forza amputata l'identità. E che di questa esperienza si fa «segretariano». E' il termine che usa, storpiatura di segretario, per indicare il molo di chi diventa trascrittore dei fatti avendoli vissuti. Chi scrive è un «io», ma un io ambiguo, e che si ignora. «Il corpo è un abisso, tutto è notte fonda nel didentro». Due fratelli trovano un mattino il padre impiccato. Devono di colpo affrontare la contingenza, senza colui che è stato per tutta la loro vita l'intero universo. Padre fustigatore e carceriere, che U ha da sempre segregati nella vecchia tenuta di famigha in disfacimento costringendoli a pratiche penitenziali e a riti macabri intomo a cadaveri o ai loro fantasmi, il morto continua a determinare l'esistenza dei figli sotto forma di spoglia per la durata del libro, mentre urge una catastrofe che sarà purificatrice e insieme liberatoria, almeno quanto orribile. Cronista dei fatti è quello dei due fratelli che ha imparato a leggere e a scrivere attingendo alla biblioteca dell'avita dimora, e perdendosi in storie di cavalieri medievali e fate innamorate, nei Mémoires di Saint-Simon e nell'Etica di Spinoza. Dal villaggio vicino giungono le minacce, il mondo estemo dalla cui intrusione continuare a difendersi. Ma è anche dal mondo estemo, tramite un curioso ispettore minerario vestito di nero che legge Ifiorì del male, a giungere da un lato rmusione dell'amore, per chi scrive e racconta, d'altro lato e soprattutto la rivelazione dell'identità amputata. Q narratore scopre di essere donna, o megho «puttana» poiché nell'educazione impartita dal padre i due concetti si sovrappongono, attraverso le parole di quell'uomo. La scoperta non comporta una risistemazione dell'universo, di cui quel padre continua a rappresentare il creatore unico e indiscutibile, ma l'accettazione di qualcosa che era sembrata sino ad allora una infausta mutazione, la perdita del sesso maschile per qualche colpa commessa, seguita da periodici sanguinamenti. Poi bruscamente interrotti, da ormai tre stagioni, in seguito al fastidioso agitarsi del fratello sul suo corpo. E' un incubo di quasi duecento pagine, la cui lettura diventa mano a mano vorticosa. H continuo spiazzamento che l'identità vagante, neUe sue peregrinazioni, comporta nel lettore, avvince e stringe. Si corre verso la fine come alla catastrofe mentre il quadro della vicenda si compone di tassello in tassello amplificando l'orrore. E quella strana lingua in cui si esprime la narratrice, impasto fatto di ingenuità stoipiature e espressioni letterarie, reso con grande maestria da Francesco Bruno, il miglior traduttore cui potesse essére affidato un cimento del genere, entra dentro come uno stiletto. L'autore di questa fiaba dai contorni terrificanti è un canadese francofono di Montreal, quarantacinquenne, Gaétan Soucy. Insegna filosofia all'università, questo è il suo terzo romanzo. Per la potenza corrosiva della sua scrittura, si è subito imposto come voce determinante della narrativa contemporanea. Ai francesi fa ovviamente comodo annetterlo senza meno alla Letteratura Francese tout court, manovra coiroborata dall'assenza di un Quebec esplicito nel libro. Ma non è del tutto escluso che nella storia di questa famigha un tempo unita per castratoria volontà del Padre e oggi straziata daU'affrontamento tra i due frateUi. conservatore e arroccato uno, aperto all'esterno e fiducioso l'altro, mentre un vagabondo straniero approfitta del conflitto per saccheggiare la loro casa, non sia da leggere una chiara metafora.
Persone citate: Francesco Bruno, Gabriella Bosco, Soucy, Spinoza
Luoghi citati: Montreal
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