LETTERE

LETTERE LETTERE Non basta la bacchetta magica Si svolgerà domani a Roma un convegno sull'insegnamento linguistico nell'università organizzato dai Presidi delle Facoltà di lingue. L'intento è quello di offrire alcuni suggerimenti su come porre rimedio a quel deficit culturale in campo linguistico che costituisce un grave elemento di debolezza per il nostro paese. Lo sanno e lo dicono tutti. Ma finora nulla di effic^ct è stato fatto; mentre l'ignoranza uiffusa dei termini del problema fa credere che si possa rimediare con un tocco di bacchetta magica. Di questo convegno c'è dunque davvero bisogno. Tanto più adesso, alla vigUia di modifiche della riforma dell'Università che, se attuate così come sono ora abbozzate, peggiorerebbero la situazione, anziché migliorarla, e diminuirebbero la capacità delle Facoltà di Lingue di intervenire in modo decisivo per superare quel «deficit». L'organismo che formalmente e praticamente ha le competenze per dare un serio parere sulla questione, e cioè la Conferenza dei Presidi di Lingue, non è stata minimamente coinvolta dal Ministero. Non per colpa del Ministro; ma per colpa dell'atteggiamento dominante nella cultura accademica, per cui a nessuno viene in mente che sulle questioni linguistiche sia necessario rivolgersi agli esperti del settore. E tuttavia c'è ancora tempo per rimediare. Degli argomenti affrontati dal convegno almeno due però restano decisivi a prescindere dalle modifiche. Il primo riguarda i lettori «madre lingua». Tutti gli studenti sanno che sono loro che insegnano la lingua (i professori di lingua insegnano cose importanti che però vengono dopo e a un livello più alto). I lettori chiedono che questo dato di fatto venga riconosciuto. Cosa lo vieta? Il secondo argomento, la formazione degli insegnanti di lingue, è cruciale per il futuro. Fino a poco tempo fa tale formazione era affidata alla buona volontà. Da qualche anno è affidata a un biennio post-laurea, rivolto a laureati che hanno studiato per quattro anni la lingua che andranno a insegnare. Dall'anno prossimo i laureati (con la laurea triennale) l'avranno studiata solo per tre anni. È evidente che il futuro biennio formativo dovrà comunque prevedere un quarto anno di studio specifico, per mantenere almeno l'attuale livello. Per insegnare non basta sapere. Però non si può insegnare ciò che non si sa. Sarebbe bene che su questo problema il Ministro, che tanto ha insistito a favore delle lingue nella scuola, ascoltasse non i fornitori di bacchette magiche, ma chi nell'Università prepara i professori che nella scuola andranno a insegnare. Paolo Bertinetti, Torino presidente della Conferenza dei Presidi di Lingue Sanno parlare soltanto del fatti interni Che strano vizio quello dei politici italiani, vanno in visita ufficiale all'estero e le uniche parole che sanno pronunciare nelle interviste riguardano unicamente i fatti interni.' È un malcostume che da sempre coloro che rappresentano l'Italia quando sono all'estero mettono in pratica. Agli italiani forse interesserebbe di più sapere qualcosa sui contenuti delle visite dal momento che vengono pagate con i denari pubblici. Per parlare dei guai giudiziari del presidente del Consiglio è sufficiente rimanere in Italia, il fatto che tali discorsi arrivino da lontano sottrae spazi a cose ben più importanti. Egidio Kaunis Fimppi Jyvaskylà (Finlandia) Dalla Guzzanti a Berlusconi Durante lo scorso Carnevale Sabina Guzzanti venne a a trovarci a Venezia e ci intrattenne per circa due ore in piazza San Marco travestita da Berlusconi. La sua (irresistibile) battuta d'esordio fu: «Sono costretto a esibirmi nelle pubbliche piazze perché, come sapete, non ho altri spazi in cui esprimer¬ mi». Oggi, anche se Carnevale è ormai passato da un pezzo, verrà a trovarci il Cavaliere in persona. Il pretesto sarà la finta posa della finta prima pietra del Mose, ma se arriverà travestito da Sabina Guzzanti, secondo voi quale sarà la sua (resistibile) battuta d'esordio? Lucio Angelini, Venezia Un bicchiere di champagne nella prima Juventus Alcune curiosità, da un vecchio ritagho, sulle origini della prestigiosa Juventus, che in questi giorni ha compiuto 104 anni di vita. Fu fondata da un gruppo di studenti del noto liceo «D'Azeglio» di Torino, assai interessati al football giunto dall'Inghilterra. Per la nuova squadra prevalse il nome «Juventus» tra altri nomi dell'epoca, che venivano proposti dai giovani studenti: «Vigor et labor», «Ludus», «Iris Club», e addirittura «Forza e Salute», e anche «Via fort» in piemontese. Le divise furono confezionate con un saldo di tessuti in percalle rosa, berretto bianco di piqué, fascia e mutandoni neri. Il pallone era di cuoio, gonfiato ogni volta dal «tesoriere». Primo presidente fu il babbo di un ragazzo del «D'Azeglio», che mise a disposizione la sua officina di «Riparazione cicli» in corso Re Umberto 42. Sede più ampia, nel 1899, fu in una specie di stalla nella Zona Crocetta (allora in periferia). Il primo «match» ufficiale contro il «F. C. Torinese», fondato nella nostra città da inglesi, portò la Juventus a una clamorosa sconfitta, anche se ormai in provincia essa si esibiva nelle sagre locali tra feste danzanti e «rottura della pignatta». La Juventus vinse il primo campionato soltanto nel 1905, con ormai una casacca nuova venuta dall'Inghilterra, a strisce bianconere (che furono dette subito «da carcerati»!). Una curiosità da dire ancora è il problema dei vistosi baffi dei giocatori, che talora (scrivevaLaStampa dell'epoca) «impedivano di vedere il pallone e i «goals»). Non esistevano allenatori, schemi, assetto tecnico: anche se, nell'intervallo veniva offerto ai giocatori un bicchiere di champagne! don Lino Baracco vecchio tifoso Come scaricare i consiglieri scomodi Nel Comune di Novara è stato messo in atto un famoso metodo per «scaricare» i politici scomodi, compresi quelli che hanno avuto un alto numero di preferenze da parte degli elettori. Il metodo è abbastanza semplice. Basta nominare il consigliere più votato a assessore e dopo un po' di tempo togliere la delega. In questo modo l'interessato diventa un semplice cittadino perché per fare l'assessore ha dovuto dimettersi da consigliere, e il gioco è fatto. Il meccanismo, ormai collaudato, ha funzionato in tante città dove il sindaco ha voluto liberarsi di consiglieri della stessa maggioranza. L'unica amarezza resta al consigliere che si trova in poco tempo fuori dalle istituzioni. Marino Bertolino, Novara