Scuse dal New York Times per un reporter infedele

Scuse dal New York Times per un reporter infedele IN PRIMA PAGINA AMMETTE TUTTE LE FALSITÀ' E GLI ERRORI PUBBLICATI Scuse dal New York Times per un reporter infedele La «vergogna» del tempio della stampa Usa si chiama Jayson Blair e ha scritto bugie e invenzioni in ben 36 articoli da ottobre a oggi la storia NEW YORK LA fantasia, troppa fantasia, è andata al potere al «New York Times». E ha fatto così tanti danni che il venerabile quotidiano, con una mossa senza precedenti nella sua storia pluricentenaria, ha aperto la prima pagina di ieri con un pezzo di scuse e documentazione riguardo le malefatte del suo reporter Jayson Blair. «Un enorme occhio nero», lo ha definito l'editore, Arthur Òchs Sulzberger Junior, «un'abrogazione del rapporto di fiducia tra il giornale e i ettori». Che cosa è successo di tanto grave? Lo spettro del plagio e dell'invenzione, nemico mortale del giornalismo, ha trovato la maniera di intrufolarsi nella redazione sulla Quarantatreesima strada. Lo ha fatto usando le sembianze di Jayson Blair, un ragazzo nero di 27 anni che sorride in giacca e maglioncino dalla foto pubblicata sul giornale, e per qualche anno è riuscito ad ammaliare anche i capi più severi nella cattedrale della stampa americana. Nel 1997 Jayson, figlio di un impiegato federale della Virginia e di un'insegnante, era ancora uno studente di giornalismo alla «University of Maryland». Bravo a scrivere, bravo ad adulare, e quindi bravo a stabilire rapporti umani utiU a carpire notizie. Quell'anno il «Boston Globe», altro grande giornale posseduto dalla stessa compagnia del «Times», gli aveva offerto uno stage estivo dove si era distinto, a parte quelle voci maliziose secondo cui si era inventato un'intervista col sindaco di Washington Anthony Williams. L'anno dopo il giovane Blair aveva fatto un passo avanti, e l'intemship l'aveva ottenuta proprio al «Times». Secondo Sheila Buie, che dirigeva il programma, «se l'era cavata bene, benissimo». Non lasciava mai la redazione, faceva amicizia pure coi facchini, ed era sempre pronto a darsi da fare. Aveva concluso il primo apprendistato con 19 articoli pubblicati e il giornale gli aveva offerto di restare. Lui, però, aveva responsabilmente declinato, sostenendo di voler finire l'università. Quando nel 1999 era tornato al «Times», i colleghi pensavano che nel frattempo si fosse laureato, ma quella era solo la prima di una lunga lista di bugie a cui avrebbero abboccato. Comunque lo accolsero nella redazione della cronaca cittadina, dove Blair aveva subito ricominciato a macinare lavoro e scoop da prima pagina. Nello stesso tempo, però, il capo del servizio, Jonathan Landman, si era accorto che qualcosa non funzionava: troppe rettifiche e proteste macchiavano i capolavori di Jayson. Nonostante questi dubbi Gerald Boyd, allora vice direttore, aveva deciso di assumerlo. Il giornale stava diversificando la sua composizione razziale, nel rispetto della correttezza politica trionfante, e non voleva farsi scappare un promettente talento nero, anche se aveva bisogno di qualche messa a punto. Boyd, un afro americano anche lui, nega che il colore della pelle abbia influenzato la sua decisione, ma le malelingue del giornale sono meno siane. Comunque Blair aveva ottenuto il posto dei suoi sogni e aveva cominciato a metterlo a frutto. Valanghe di articoli, oltre il tasso dell'umana possibilità di scrivere con accuratezza, e richiami in prima pagina. Ma anche troppi errori e distrazioni, che avevano spinto il suo superiore diretto, Charles Strum, a fargli ima ramanzina: «Per crescere come giomaUsta devi fare qualcosa in più che bere whiskey e fumare sigarette». NeU'aprile del 2002 Landman aveva perso la pazienza, e aveva spedito questo messaggio aUa direzione: «Dobbiamo impedire a Jayson di scrivere per U Times. Qra». Mai l'I 1 settembre e la guerra al terrorismo avevano aumentato le , esigenze del giornale, moltipUcando i reporter sparsi perii mondo. La coperta si era accorciata e neU'ottobre deU'anno scorso, dopo una breve penitenza aUo sport, Blair aveva ottenuto l'occasione per la grande rivincita: coprire la storia del cecchino di Washin-, gton, che ammazzava persone proprio intomo a casa sua. Citando •fonti anonime aveva fatto scoop da prima pagina, spingendo il direttore HoweU Raines a mandargU ima nota di congratulazioni: «Bravo per la faticaccia che stai facendo». Ma le fonti erano così anonime che neppure esistevano, e infatti il capo deUa poUzia locale lo aveva smentito. Poi era arrivata la guerra in Iraq, e il bisogno di manodopera aveva vinto ancora suU'obbligo di verificare il suo lavoro. Quindi il 27 marzo Blair era stato mandato in West Vireinia, neUa casa deUa prigioniera liberata Jessica Lynch, raccontando poeticamente della collina dove sorge, mentre invece si trova in una vaUe. Il 6 aprile era andato a Cleveland per il memoriale di un soldato morto, senza mai comprare il bigUetto aereo, e il 19 aprile era andato al «National Naval Medicai Center» di Bethesda per intervistare il caporale ferito James KUngel, senza mai varcare la sogUa deU'ospedale. I suoi capi lo sentivano solo attraverso il telefono ceUulare, quando si faceva trovare, e quindi non potevano verificare dove fosse. La resa dei conti, però, è arrivata il 26 aprile scorso. Il direttore del «San Antonio Express-News» ha aperto il «Times» e ci ha trovato la storia deUa f amigUa texana di un soldato disperso in Iraq, completamente copiata dal suo giornale senza attribuzione. Ha mandato un messaggio a Raines, e il primo maggio la carriera di Blair è finita. «Ho avuto seri problemi personaU - si è giustificato il campione deUa fiction giornalistica - e adesso mi sto facendo curare». Più difficile sarà guarire il «Times» dalla vergogna, nonostante Raines abbia mobilitato 5 giornalisti per un'inchiesta sulle bugie di Jayson, che ha prodotto la chilometrica lista di correzioni pubblicate ieri: falsità documentate in 36 articoU su 73 da ottobre ad oggi, e forse molte altre nei 600 precedenti. Il giornale ha fornito un indirizzo e-mail, dove i lettori possono segnalare altri eirori. «Quando fai uno sbagUo - dice Raines - l'unica soluzione è correggerlo al più presto». Intanto le copie del Times escono come sempre, «ma resta da vedere quanto a lungo porteranno la polvere del coUasso di questa giovane carriera». Tra le sue malefatte più recenti, aver finto di andare in West Virginia nell'abitazione della prigioniera liberata in Iraq Jessica Lynch Si è poi recato a Cleveland per il memoriale di un soldato mòrto senza mai prendere l'aereo La resa dei conti è arrivata quando il direttore del «San Antonio News» ha scoperto sul «Times» la vicenda della famiglia di un militare disperso copiata parola per parola dal suo giornale senza alcuna attribuzione A sinistra, la prima pagina del «New York Times» con il pezzo di scuse e tutta la documentazione dettagliata delle malefatte del reporter Jayson Blair, sorridente nella foto sotto SlK;Kc\w11ork«iuncs L'ingresso del «New York Times», «cattedrale» della stampa americana, sulla Quarantatreesima strada

Luoghi citati: Iraq, Maryland, New York, Usa, Virginia, West Virginia