«È dura per noi donne, impariamo dagli Usa» di Domenico Latagliata

«È dura per noi donne, impariamo dagli Usa» LA CAPITANA TORINESE DELLA NAZIONALE HA VINTO A VERONA IL SUO QUINTO SCUDETTO «È dura per noi donne, impariamo dagli Usa» La Guarino: «Troppe ragazze lasciano per la mancanza di scuole calcio» intervista Domenico Latagliata S OLO una cosa rende impossibile un 1 sogno: la paura di fallire». Frase di Paulo Coelho e manifesto di Rita Guarino, 32 anni, professione calciatrice, siciliana di origine ma torinese di nascita, capitana della Nazionale. Era il suo sogno, quello di tirare calci a un pallone: l'ha inseguito, ci è riuscita e, un paio di settimane fa, ha vinto il quinto ■scudetto della sua carriera vestendo la maglia del Foroni Verona. «Stanca ma felice», dice lei, alle soglie della laurea in psicologia. Come è nata la passione per il calcio? «Andando all'oratorio con mio fratello maggiore. Mi stufai presto di stare a guardare e, grazie al suo aiuto, riuscivo a intrufolarmi nelle tante interminabili partite che vi si disputavano». I suoi genitori sognavano altro? «Soprattutto mia madr?: mi immaginava pattinatrice artistica. Ho resistito fino ai 14 anni, poi ho scelto il calcio passando anche da una breve esperienza con il basket. A vent'anni ero già fuori di casa, a Reggio Emilia». E quando ha capito che quello della calciatrice poteva diventare una professione e non un hobby? «Dopo la prima convocazione in Nazionale e il primo gol, segnato nel '91 durante i Mondiali in Cina davanti a 40.000 persone: un'emozione incredibile, anche perchè avevo cominciato la partita in panchina». Se dovesse spiegare a qualcuno cos'è il calcio, che immagine userebbe? «Quella di un grande teatro, dove gli attori inscenano drammi di vita quotidiana assaporando gioie, accettando sconfitte e prendendo coscienza di mille contraddizioni. Motivo per cui nello sport si crea quello spazio educativo ed emotivo che aiuta a crescere e prepara alla vita». E la donna calciatrice che tipo è? «Una ragazza come le altre che, ancora oggi, deve lottare contro certi pregiudizi, soprattutto in Italia. Per un breve periodo ho anche giocato negli Stati Uniti: lì la situazione è completamente diversa, le calciatrici non sono atlete di serie B ma professioniste a tutti gli effetti che giocano davanti a migliaia di persone. Da noi gran parte del movimento è ancora dilettantistico: servirebbero investimenti diversi per promuovere i settori giova¬ nili e facilitare i tesseramenti. In Italia siamo circa 15.000, in Francia sono 75.000, in Germania 800.000, negli Stati Uniti otto milioni». Come va la sua scuola calcio? «Bene, anche se assorbe tempo ed energie. Entriamo nelle scuole in orario curricolare e indirizziamo le ragazze che, a fine anno, intendono continuare. Se non partiamo dalle scuole, non cresceremo mai. Molte ragazze cominciano a giocare ma poi smettono a tredici anni, quando non possono più farlo insieme ai maschi e non sanno dove proseguire la loro attività». A proposito di ragazzi: quest'anno lei, quando non era a Verona, si allenava con la prima squadra del Lascaris (Eccellenza). Problemi? «Nessuno, c'è molto rispetto e voglia di misurarsi l'un con l'altro. Era andata meno bene quando mi allenavo con gli Allievi del Torino: troppa differenza di età». Nella sua carriera ha giocato per Reggiana, Torres, Fiammamonza, Lazio e Foroni: rimpianti per non avere vestito il granata del Torino? «No. Ma sono contenta che si siano salvate. La squadra è giovane, ha un buon futuro davanti a sé».

Persone citate: Lascaris, Paulo Coelho, Rita Guarino, Torres