Amleto 400 di Masolino D'amico

Amleto 400 RISALE AL 1603 LA PRIMA EDIZIONE A STAMPA DELLA CELEBRE TRAGEDIA DI SHAKESPEARE, UNA DELLE OPERE CHE HANNO SEGNATO LA MODERNITÀ Amleto 400 Masolino d'Amico NEL 1823 venne alla luce in Inghilterra l'unica copia sopravvissuta (in seguito ne sarebbe emersa un'altra) di un volumetto di piccolo formato così intestato: «La Tragica Storia di Amleto "Principe di Danimarca" Di Wilbam Shakespeare. Quale è stata più volte rappresentata dai servitori di Sua Altezza nella Città di Londra: come pure nelle due Università di Cambridge e Oxford, e altrove. Stampato a Londra per N.L. e John Trundell. 1603». È la più antica edizione della più celebre tragedia moderna e sembra giusto celebrarne il quadricentenario, che potrebbe ricadere proprio in questi giorni, o perlomeno non prima. Infatti la compagnia detta del Lord Ciambellano, di cui Shakespeare era membro, fu autorizzata a fregiarsi del patrocinio del nuovo re Giacomo I - e quindi a diventare ufficialmente i Servitori di Sua Altezza solo dopo il 19 maggio del 1603. Per amore di ulteriore precisione, possiamo inoltre,ricordare , che in Inghilterra vìgevarancora il calendario giuUano; .secondo quello gregoriano, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582 ma adottato in Gran Bretagna solo nel 1752), la data andrebbe anticipata di una decina di giomi. Prima del rinvenimento del volumetto datato 1603 si conoscevano altre due stampe antiche deWAmleto, entrambe più tarde: una, anch'essa formato in-quarto, datata 1604 e 1605 (ossia, dei sette esemplari noti tre sono datati 1604 e quattro 1605); e una del 1623, come parte del famoso volume in-folio uscito dopo la morte del poeta a cura di antichi compagni di lavoro e contenente quasi tutte le sue opere. Questi tre testi sono indicati dagli studiosi rispettivamente come Ql, Q2 e F. Il Ql, quello di cui avviene la ricorrenza, è un «bad quarto», ossia un «quarto cattivo»; Q2 è un «good quarto»; F è «buono». Per i non iniziati spiegherò brevemente che da vivo Shakespeare non curò la pubblicazione di nessuna sua opera drammatica. Non era nel suo interesse, perché non esistendo diritti d'autore, le compagnie avevano l'esclusiva di una pièce finché ne possedevano fisicamente il testo, che una volta uscito a stampa diventava di pubblico dominio. Qualche volta, fu il caso di Ben Jonson che teneva ad affermare la dignità letteraria anche della sua attività per il teatro, le commedie uscivano con la cura di chi le aveva scritte; più spesso però l'autore vendeva il suo copione a chi lo allestiva, e dopo se ne disinteressava. Tuttavia la risonanza di alcuni lavori spinse editori senza scrupoli a pubblicarli anche in mancanza del consenso dei proprietari, magari in versioni precarie, ottenute da attori infedeli, i quali però di rado possedevano il copione intero (la carta costava, e a un interprete veniva data solo la sua parte, in un rotolino di carta - «roll», «róle», donde il «ruolo»), e quindi ricostruivano quelle degli altri a memoria. Nel caso di Shakespeare, durante la vita del Bardo uscirono senza autorizzazione edizioni formato inquarto di parecchi suoi drammi, e questi Quarti gli studiosi li distinguono in buoni e cattivi a seconda della qualità del dettato, talvolta assai accettabile, più spesso, invece, per quanto interessante, precaria, mutila, piena di strafalcioni. Ora, le tre redazioni in cui Amleto ci è pervenuto - Ql, Q2 e F - sono diversissime, e il loro confronto ha alimentato una piccola industria di cervelli durante ormai quasi due secoli. Quella del nostro Ql è pessima. Intanto è molto più breve delle altre, 2154 righe contro 3723 di Q2 (i testi shakespeariani si misurano in righe di stampa e non in versi perché di solito, come questo, contengono sia versi sia prosa). Poi è piena di imprecisioni e gaffes, talvolta istruttive perché confermano come l'astrusa e poeticissima lingua del Bardo potesse indurre anche i contemporanei a pren¬ dere fischi per fiaschi. Il traditore che procurò il testo dovette essere colui che recitava la parte minore di Marcellus, perché le battute senza errori sono quelle di costui, ovvero quelle pronunciate quando quel personaggio è di scena. A lungo questa versione fu ritenuta quella embrionale, forse il punto di passaggio tra il mitico cosiddetto «Ur-Hamlet» (un Amleto de¬ gli anni 1580, forse scritto da Thomas Kyd, del quale si sa quasi soltanto che fu popolare ai suoi tempi, e anche molto parodiato) e gli altri compiuti del 1604-5 e 1623. Oggi però si tende più convincentemente a ravvisare in Ql soltanto una rabberciata ricostruzione della versione data alle stampe più tardi, ricavata forse da un'edizione molto tagliata per un giro in provincia. Il particolare curioso e poco spiegabile è però la presenza di due nomi diversi rispetto a quelli che conoscevamo.- Polonio qui si chiama Corambus, quasi come un personaggio di Tutto è bene quel che finiscebene, e Reynaldo, Montano, come un personaggio di Otello. Come mai? In ogni caso, nel 1603 l'Amleto di Shakespeare, come del resto ricordato nel frontespizio, era un successo collaudato. In scena era stato certamente già nel 1601, ma forse anche uno o due anni prima, ci sono elementi per poterlo collocare nel 1598 o '99. E può darsi persino che ne circolasse una edizione manoscritta, come avveniva per la poesia con pretese artistiche. Lo fa pensare una indagatissima annotazione dell'austero umanista Gabriel Harvey, il tutore di Spenser, in un suo volume di Chaucer, secondo la quale gli uomini assennati ora «prendo- no piacere» (ossia, si argomenta, leggono) da Amleto. Questa annotazione non è datata, ma vi si allude al conte di Essex come vivente, e costui fu decapitato nel 1601. Chissà. Le notevoli aggiunte del Folio (e alcune omissioni) rispetto a Q2, e anche la mole straripante dei due «Amieti», diciamo così, compiuti - per non parlare di quella ottenibile quando li si somma senza tener conto dei tagli di ciascuna versione hanno fatto pensare ad alcuni, tra cui Giorgio Melchiori, che diversamente dalle sue abitudini usa-e-getta Shakespeare tenesse sullo scrittorio questa particolare tragedia per molti anni, e ci ritornasse sopra più volte, ottenendone una specie di poema in corso, di opera aperta mai veramente conclusa. Ipotesi affascinante, che in qualche modo aiuta a spiegare l'inafferrabilità di questo lavoro così stimolante e così interrogato in ogni epoca. Da Laurence Olivier a Gassman, da Carmelo Bene a Kenneth Branagh il celebre monologo «Essere o non essere» è stato cavallo di battaglia o prova del fuoco per mattatori e registi sulla scena e sul grande schermo. Nel 1823 fortunosamente ne fu ritrovato l'originale IL SUCCESSO DEL PRINCIPE DI DANIMARCA «Essere o non essere», il celebre monologo shakespeariano del principe di Danimarca, è stato per secoli cavallo di battaglia di grandi àtteri e negli ultimi decenni lo è diventato anche per i registi. Una delle edizioni più recenti dell'Amleto in Italia è quella firmata da Federico Tiezzi. ma non si può non citare quella del lituano Nekrosius. All'Amleto Invarie salse ha lavorato per anni Carmelo Bene (ha realizzato tra l'altro anche un Omelette for Hom/et di cui esiste una versione radiofonica). Gassman è stato più yolteAmleto. Agli inizi del secolo si cimentò con una parodia anche Petrolini. In Gran Bretagna il più celebre Amleto del '900 è s^atò Laurence Olivier, ma anche Kenneth Branagh ne ha dato una grande interpretazione, portata sul grande schermo. E lungo è l'elenco degli Amieti al cinema: da quello muto con Asta Nielsen. del '20, fino a un Hamlet lOOOdi Almereyda con Ethan Hawke, passando per quello di Zoffirclli, interpretato da Mei Gibson, del 1990. Sempre nel '90 una variazione all'inglese fu Rosencrontz e Gui/destern sono morti con la regia di Stoppard, che vinse il Leone d'Oro a Venezia. . William Shakespeare \ ..v ; ,^ ,., N te..***- ' "00im^p Laurence Olivier con il teschio in mano in una celebre interpretazione della tragedia shakespeariana