«Il jazz non vuole vetrine ma progetti per suonare»

«Il jazz non vuole vetrine ma progetti per suonare» IL DIBATTITO «Il jazz non vuole vetrine ma progetti per suonare» Diego Borotti spiega le ragioni della protesta dei musicisti: «ATorino, esclusa dai circuiti, artisti inattivi o sottopagati» FRANCO MONDINI I jazzisti torinesi reagiscono con un «no», fermo e polemico, alla proposta di esibirsi nel foyer del Regio quando il 6 maggio verrà presentato il volume «Musica in Piemonte», catalogo/pagine gialle, dedicato agli addetti ai lavori, ai diretti interessati (i suonatori). II libro è a cura di Marco Ciari per conto del Comune e della Regione. Un'operazione ritenuta inutile, uno spreco di quattrini ben altrimenti utilizzabili, spiega in un lettera ai quotidiani Diego Borotti del «Saxea Saxophone Quartet», il gruppo che avrebbe dovuto rappresentare il jazz al Regio. Chiarisce Borotti: «Come ho precisato nella mia lettera a Ciari e, per conoscenza, al sindaco e ai giornali, noi riteniamo indecorosa e improduttiva la funzione culturale dell"'Annuario", anzi, la reputiamo fondamentalmente illusoria. Non è con un libro che si risolve il problema del jazz e di tutta la musica giovane a Torino, città ormai tagliata fuori dal circuito nazionale, isolata, impoverita, città nella quale i protagonisti sono sottopagati (e nella maggioranza inattivi) e nella quale la musica creata fuori delle accademie e dei conservatori è lasciata al totale abbandono e alla buona volontà degli interessati e alla benevolenza del pubblico». Che cosa volete, qual è il significato di questa protesta, di questo «sciopero»? «Premetto che la gran parte di musicisti italiani in azione (i free-lance) non ha una collocazione precisa, né fiscale, né contri¬ butiva né professionale. E questo è il punto focale di una situazione che secondo noi dovrebbe venire presa in considerazione dal ministero della Cultura e dagli Enti locali. Proprio questi ultimi hanno l'obbligo di contribuire alla realizzazione di progetti che promuovono la musica d'arte contemporanea; in Francia, per esempio, una forte percentuale del budget destinato a una manifestazione patrocinata da un ente pubblico viene impiegato per sovvenzionare la partecipazione di solisti e gruppi vocali». Ma perché negare una funzione benché limitata ma anche positiva al libro ora sotto processo? «Perché offre un'idea falsa della realtà. In effetti, la maggioranza dei soggetti presentati sulle pagi¬ ne di "Musica in Piemonte" sfiora l'emarginazione sociale. Parola grossa ma è la realtà. E' una condizione pesante che accomuna sia i professionisti sia i giovani emergenti». Come risolverebbe Borotti la situazione oggi in atto a Torino? «Propongo che il Comune si appoggi per le sue iniziative musicali a solisti e interpreti affermati per costituire così, un solido gruppo di consulenti. Poi, per evitare le inevitabili "baronie", suggerirei che questi esperti intervengano a rotazione con contratti annuali, al massimo biennali». Da dove partirebbe la vostra impresa innovativa? «Dai club di cui bisogna sostenere l'attività. I club sono la vera fucina del jazz, del rock e del pop... E' poi necessario agevolare le associazioni formate da musicisti, quindi dirottare una parte dei budget destinati ai grandi festival in favore dei solisti italiani, come accade in Francia». Borotti conclude: «La mia lettera a Marco Ciari è una lettera di denuncia e vuole fare luce su una situazione ormai di disagio dalla quale i musicisti piemontesi, e italiani, debbono uscire. Siamo stanchi di interpretare il ruolo che ci viene assegnato: quello delle marionette. Vorremmo trovare un dialogo e migliorare una realtà oggi invivibile». E per non rischiare di venire mutati, infine, una moltitudine di Cipputi.

Persone citate: Borotti, Ciari, Diego Borotti, Marco Ciari

Luoghi citati: Francia, Piemonte, Torino