La vita asettica dell'uomo in fuga dal suo DNA

La vita asettica dell'uomo in fuga dal suo DNA LA PROCURA VUOLE L'ESAME MA NESSUNO GLIELO PUÒ IMPORRE La vita asettica dell'uomo in fuga dal suo DNA Da mesi, un imputato di omicidio sfida gli agenti del carcere di Cuneo incaricati di raccogliere una sua traccia biologica da esaminare L'avvocato: una moderna tortura. Il pm: basta che dia un po' di saliva Giorgio Ballario Da un mese gioca a nascondino con i suoi carcerieri in una piccola cella d'isolamento del penitenziario di Cuneo. Una sfida sottile, una gara d'abilità fatta di piccole precauzioni e studiate cautele per evitare di lasciare in giro una qualsiasi traccia biologica dalla quale si possa risalire al suo profilo genetico. Pietro Del agaren, 38 anni, il nomade sinto arrestato dai carabinieri lo scorso 15 marzo con l'accusa di aver ucciso l'imprenditore valsusino Umberto Masera, sta cercando in tutti i modi di sottrarsi al test del Dna, che la Procura vuole imporgli. In Italia non esiste ima legge che obblighi un indagato a sottoporsi al prelievo di sostanze organiche - è sufficiente sputare un po' di saliva in un fazzolettino quindi in caso di rifiuto gli inquirenti sono costretti a ricorrere a trucchi e stratagemmi. Come la famosa tazzina di caffè del serial-killer genovese Donato BUancia o i mozziconi di sigarette lasciate dai sicari del giudice Falcone. Per non correre rischi ogni giorno il nomade (già condannato a 25 anni per il delitto del piccolo Maverick Argenta) fa estrema attenzione a non lasciare dietro di sé alcun tipo di reperto biologico: quindi massima accortezza con i capelli che cadono, con le tracce di saliva su bicchieri e tazzine, persino con possibili campioni di urina e di feci che i «camici bianchi» del Ris potrebbero usare contro di lui. Nei giorni scorsi 0 pm Marcello Tatangelo ha ordinato la perquisizione della cella di Dellagaren per sequestrare alcuni oggetti: uno spazzolino da denti, degli indumenti. Si spera di risalire al Dna del sinto, ma in queste operazioni non c'è nessuna certezza di riuscita. Dellagaren, soprannominato «Perù», di prove genetiche non ne vuol proprio sapere. Anche se si proclama innocente e spergiura di non essere mai stato, quella maledetta notte del 25 aprile del 2001, nella villetta di Sant'Ambrogio in cui l'imprenditore venne ucciso a colpi di pistola in un tentativo di rapina compiuto da tre uomini mascherati. Nella colluttazione Masera ferì un paio dei suoi assalitori, che persero qualche goccia di sangue sul pavimento. Un piccolo indizio che per i carabinieri del Ris di Parma si è rivelato più che sufficiente per risalire al Dna degli assassìni. Per i militari del nucleo operativo e il pm Tatangelo, uno di quei misteriosi rapinatori era senz'altro Pietro Dellagaren, ma per avere la certezza assoluta servirebbe una prova scientifica, tipo la mappa del Dna. Il cugino di Pietro, Carlo Dellagaren, 23 anni, è stato incastrato così: i carabinieri si sono impadroniti di un chewing-gum che aveva appena finito di masticare e grazie alle tracce di saliva sono riusciti a confrontare il suo Dna con quello rinvenuto a Sant'Ambrogio. Un incrocio che ha dato esito positivo. Carlo è già stato condannato in primo grado a 30 anni di reclusione. «Lo tengono in isolamento soltanto per estorcergli il consenso al test del Dna - accusa il difensore di Pietro Dellagaren, l'avvocato Antonio Foti - anche se è una misura illegittima. La legge consente all'imputato di non sottoporsi all'esame, quindi non vedo perché la Procura lo voglia costringere con una versione aggiornata della tortura». «Perù», racconta Foti, da un mese vive in una piccola cella dove c'è solo una brandina, senza tavolo e sedie, senza televisore, senza la possibilità di scrivere una lettera ai parenti. Un'ora d'aria al giorno in un cortiletto di 3 metri per 3, coperto da una grata. «Macché tortura - è la replica del pm Tatangelo - Dellagaren è in isolamento per esigenze processuali: se fosse in cella con altri detenuti come faremmo a sapere con certezza che le tracce biologiche che stiamo cercando di prelevare sono sue? Basta che ci cfla un po' della sua saliva e ritoma ad essere un detenuto come gli altri». Gli inquirenti sono convinti della sua colpevolezza. Dal Dna trovato nella villetta di Sant'Ambrogio risulta che l'assassino ancora senza volto ha il profilo genetico compatibile con Olimpia Colombo e Spartaco Dellagaren (i genitori di «Peni») e con Andrea, Vittorio, Domenico e Maurizio Dellagaren, cioè i fratelli di Pietro. Per l'avvocato Foti l'indizio non è sufficiente: «Nella cultura dei sinti talvolta capita che i padri non riconoscono i figli, quindi chi può escludere che in circolazione non ci sia un altro erede di Olimpia e Spartaco? L'assassino potrebbe essere lui». Perché rinuncia a una prova che potrebbe scagionarlo? «I nomadi sono sospettosi, temono sempre che i carabinieri cerchino di fregarli con false prove». La foto segnaletica di Pietro Dellagaren, 38 anni, il nomade sinto arrestato dai carabinieri lo scarso 15 marzo

Luoghi citati: Cuneo, Italia, Parma, Perù