Dal PRIVE' ai MURI

Dal PRIVE' ai MURI NOTTURNI TORINESI 5. Dal PRIVE' ai MURI ELENA DELSANTO MASSIMO NUMA Leggenda metropolitana: quando una storia, per qualche oscura ragione, si diffonde nella società come una specie di virus, trasformandosi lentamente in verità assoluta. Esempi: la vecchina che fa l'autostojj e Eoiscpmpare nel nulla; gli zingari cKé rapiscono i bambini all'ipermarket, il traffico di organi etc. A Torino ne circola un'altra, che - a differenza delle vere leggende metropolitane, appunto false - forse è vera. Accade che la giovane fidanzata di un commerciante, una bella ragazza straniera, frequentando un circolo privato, dopo una performance in un separé irrorato da luci al laser che aiutano a nascondere età e difetti, venga avvicinata da un compito signore. «Sto organizzando il casting per un film...». Detto fatto. Fidanzato d'accordo, set in una villetta di mezza collina, 60 minuti di riprese a luci rosse sotto gli spot e tra una selva di cavi. Contratto e compenso: 400 euro. Tempo un mese, l'opera prima finisce negli scaffali dei negozi specializzati. Il passaparola ha fatto il resto e, in pochi giorni, tutto esaurito, con qualche comprensibile imbarazzo della neo-attrice, peraltro molto apprezzata per la spontaneità della recitazione. Da Oscar. La leggenda allarga poi l'orizzonte su nuovi scenari. Qualche ragazza (e ragazzo), contattati con lo stesso sistema, avrebbe già fatto il salto di qualità verso set più normali e rassicuranti. Piccole star in quelle soap opera della tv, dove l'incesto è la norma e si muore e si risorge tra una puntata e l'altra. Non sarebbe la prima volta. Da Marilyn Monroe a Sylvester Stallone, i precedenti sono illustri. Dunque, la Torino by night come ufficio di collocamento per il mondo dorato dello spettacolo, hard e no. L'unico sistema, per indagare più a fondo, è di andare a vedere che succede. Appuntamento al Club '99, San Salvarlo, via Belfiore 24. Uno dei più noti. Portone nel cortile. A fianco una discoteca. Attenti a non sbagliarsi. Poi un campanello e una porta di ferro con il logo delle card. Suoni, entri, lasci i documenti e il soprabito; in cambio hai una tesserina che sembra un biglietto da visita. Appeso a un muro il «regolamento». Da leggere con estrema attenzione, per evitare sorprese. Al centro un bar, una pista da ballo. Atmosfere discrete new age, fumi di incenso, comodi divani. Una certa eleganza. Luci basse. Musica Anni 70-80. Grandi hits del passato. I box sono in fondo, vicino a un megaschermo blu. La gentilissima e avvenente signorina bionda che fa da guida spiega sicura: «Qui ci sono le varie stanze riservate, ci si può entrare per "giocare". Se tiri la tendina vale come un segnale: niente estranei, però fate attenzione. Eh, qualcuno allunga le mani lo stesso...». Ohibò. C'è pure un separé-gabbia, sbarre di ferro, futon. Dagli oblò si intravedono sagome incerte di uo- mini e donne: autoreggenti, canottiere stretch, qualche calzino corto che ci riporta sulla terra. La musica arriva ovattata. Segue la dark room, e - alla fine - i bagni. Piastrelle bianche. Salviette ocra monouso di spugna, rotoloni di carta, luci abbaghanti, docce e lavabi, il sapone liquido nel tubo azzurro per i maschietti, rosa per le signore. Fine del tour, la prossima porta ti riporta al bar. C'è poca gente, la notte del 1 '' maggio; pare che venerdì, sabato e domenica invece ci sia una folla. Coppie da tutto il Nord, molti gli aspiranti attori. Più in là, non troppo, due donne in désabillée tengono compagnia a un paio di signori obesi; usano un lessico non proprio adatto alle voce carezzevole di Barry White che va promettendo le gioie dell'amore etemo. Ma a chi? Alle 4 si fa vivo Maurizio, quarantenne «carrozziere di Ivrea», capelli riuniti in un codino che ricorda o Fiorello o Carlo Verdone. Spunta dal buio come un fantasma. Vestito scuro, spalle imbottite, camicia bianca con i jabots, scarpe nere tipo Preda o Preda. Propone un «gioco a quattro» con la sua amica brasiliana, «è la sua prima volta, è un po' timida», dice. Ne vanta le qualità: «E' molto bella» ma soprattutto fa il promoter di se stesso: «Piaccio molto, sarà per i capelli lunghi». Tenace. Al primo no («E' tardi...ci spiace»), propone subito una serie di alternative: «...Bastano venti minuti, anche dieci, una cosa rapida. Io domani devo aprire i cancelli alle 8 meno un quarto. Dai, partiamo tutti per il lavoro da qui. Per una volta.. .Comunque domenica c'è una festa, ci sarò». Orgoglioso. «Sono già stato prenotato da tre coppie». Un po' Stakanov, un po' Rocco Siffredi. Fuori, alla fine. San Salvarlo sembra Pigalle, con le sue lucine gialle. Aria fresca, pioggia sottile. E' stato divertente, uno scherzo, però come mai questo boom, non solo torinese, dei prive? Bella domanda. La notte è ancora lunga. A La Gare di via Sacchi, folla di un centinaio di giovanissimi. Ingresso transennato, entri solo se i buttafuori ti conoscono. Ti squadrano attenti. Severi. Chi sorride e chi si rimette a posto il giubbotto. Dai 30 ai 40 minuti di attesa, peggio che dal medico. L'unica eccezione vien fatta per le donne, essere del sesso debole, meglio se con micro-gonna e stivali fetisch: come un lasciapassare. Invece i ragazzini in coda forzata ci restano male. Piazza Vittorio Veneto, La Drogheria. Tutti sotto i portici con i bicchieri in mano (di plastica modello pic-nic) a trincare Moijtd, il cocktail cubano più in voga del momento. «Dopo tre bicchieri sto cominciando a carburare» dice Paolo, aria da venticinquenne consumato, ma la media del gruppo che si trascina da un tavolino all'altro è molto, molto più bassa. Il vocio è quello tipico dell'uscita dal liceo, scooter parcheggiati ovunque, se passi con l'auto fai rasetta. Preciso. E m un amen cala la serranda, ragazzi si chiude, tutti a nanna. Non resta che dirigersi nel quadrilatero, un classico. In piazza Emanuele Filiberto, i grandi ombrelloni esibiscono lucine colorate genere luna park, sui tavolini scorre birra a fiumi. Un muretto («un bel technicolor», avrebbe detto Hemingway) allinea ragazze di tutte le etnìe. Docks Dora, via Valprato. Notte fonda. Desolazione e silenzio. L'unica insegna accesa, un faro nel mare, è quella del Café Blue. Fuori, solo qualche manciata di ragazzetti, ma basta socchiudere la porta e la musica t'inonda con i suoi ritmi convulsi: all'interno è il Caos. Per l'ultima Ceres non restano che i pochi locali aperti dei Murazzi (Giancarlo e Ole Madrid), nel cielo blu i primi chiarori dell'alba. La stanchezza scivola leggera sulle acque del fiume. Si porta via le cose viste e l'eco delle parole.

Luoghi citati: Ivrea, Madrid, Torino