Per fare una città ci vuole un sogno

Per fare una città ci vuole un sogno Per fare una città ci vuole un sogno RECENMaBelpQ DANDO ventotto anni fa furono costruite le due torri gemelle del World Trade Center, un disegnatore umoristico le aveva ritratte avvolte in una nube a forma di esse, per farle assomigliare alle due sbarre verticali del simbolo del dollaro. E sebbene con il tempo il loro profilo sia entrato a far parte della skyline di Manhattan, a detta dello storico dell'architettura Joseph Rykwert i due grattacieli non avevano aggiunto nulla di positivo all'ambiente urbano in cui si trovavano, nulla di significativo dal punto di vista architettoiiico. Rykwert è particolarmente duro nel suo giudizio: "Rappresentavano il trionfo del potere monetario". Per questo i terroristi kamikaze si sono accaniti contro i due monoliti dalle finiture goticheggianti: "La concentrazione di potere attira la violenza". L'altro bersaglio raggiunto 1' 11 settembre 2001 dal folle gesto suicida, l'edificio del Pentagono a Washington - la costruzione a pianta più estesa del mondo - non ha nulla di particolarmente rilevante dal punto di vista architettonico; anzi, al contrario: è uno degli edifici pubblici più brutti del mondo, da osservare in macchina da una delle innumerevoli aree di parcheggio che lo circondano; il che non gli impedisce di essere "il simbolo di un potere occulto". Queste valutazioni trancianti sono contenute nelle pagine della postfazione italiana a un volume apparso in America un paio di anni fa. La seduzione del luogo, che è insieme la storia del rapporto, tra architettura e città, ma anche un pamphlet sulla situazione dell'architettura contempora- SIONE co oliti nea. L'autore, Joseph Rykwert, è uno dei più importanti e famosi scrittori di architettura ancora in attività. E' un maestro, autore di libri sorprendenti come La casa di Adamo in Paradiso (Adelphi) o L'idea di città (appena riedito sempre da Adelphi). Rykwert, che si è formato nel clima del modernismo architettonico, ha saputo fornire ai progettisti di edifici e agli urbanisti la prima riflessione sulla loro storia che andasse al di là di quei miti architettonici e urbanistici. L'ide'a di fondo dello studioso di origine polacca, ribadita nella prefazione a La seduzione del luogo, è che l'architettura non può essere guidata da ragioni economiche, ma da concetti, sentimenti, desideri. Nella forma della città entra in gioco il conscio e l'inconscio degli individui e delle società. Senza la dimensione del sogno, le città non nascono né crescono. Esse non sono né un risultato unitario né un oggetto meraviglioso, sfuggono al caso e alla razionalità, sebbene non riescano mai a prescindere da entrambi. Sono, insomma, un oggetto complesso lambito da due opposte forze: gli interessi economici e politici, che le vorrebbero dirigere dall'alto, e le forze oscure, pullulanti e incoercibili, che invece le orientano dal basso. La seduzione del luogo è un volume ricchissimo di cultura e informazioni, in cui si fondono le letture e i viaggi dell'autore che conosce in modo diretto, frutto dell'esperienza diretta, le architetture e gli edifici di cui parla. I due capitoli più importanti del libro, che ricostmisce la storia della città moderna e contemporanea parlando delle metropoli di tutto il mondo, sono gli ultimi due: "Interrogativi per il nuovo millennio" e la postfazione all'edizione italiana. Rykwert nota il proliferare di grattacieU nelle maggiori capitali del mondo - Shanghai, in particolare, la probabile NY del nuovo millennio -, di edifici che aboliscono la forma tradizionale del grattacielo del XX secolo. Queste costruzioni, che racchiudono tutta l'energia e lo spirito d'iniziativa che hanno alimentato il sogno americano, aboliscono le grandi basi di un tempo, che contenevano gli spazi pubblici e commerciali, a vantaggio di forme che all'inizio degli Anni Novan- ta sorgono bruscamente dal marciapiede e si stagliano contro il cielo - rampicanti "a punta di matita" - i cui ingressi sono sorvegliati da guardie. La diagnosi di Rykwert, vecchio studioso per nulla incline all'estremismo politico, è che l'architettura non è più il frutto del sogno di un individuo, di un progettista o architetto, ma il risultato di studi professionali guidato dagli interessi economici di chi ne ha finanziato la costruzione. Rykwert presenta il caso di grattacieli costruiti in Cina come in Giappone, a Shanghai come a NY. Gli architetti, scrive, non producono più grandi metafore del mondo e l'edificio oggi più riconoscibile da tutti non è un palazzo governativo né un parlamento, un ministero o una chiesa, bensì il museo, come mostra il caso del Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry o il Museo ebraico di Daniel Libeskind a Berlino, un edificio che sembra l'esposizione di se stesso e non un luogo dove esporre opere d'arte. E ancora prima il Beaubourg di Roger e Piano. La dotta e impietosa analisi di Rykwert fa molto riflettere, perché egli connette la forma della città al problema della democrazia partecipativa, soffermandosi soprattutto sulla città di Londra, che conosce molto a fondo: "La democrazia partecipativa - scrive - sta passando di mano dagli elettori agli azionisti e agli utenti". Questa analisi si salda a quanto scrivono, forse con altro intento, due giovani studiose in un libro dedicato alla figura dell' archistar© (lo scrivono così, con un neologismo su cui hanno applicato il copyright): Lo spettacolo dell'architettura, di Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli (edito da Bruno Mondadori). Si tratta di un impressionante catalogo del legame che esiste tra pubblicità e architetti (Rem Koolhaas, Frank Gehry, Peter Einseman e altri), i quali prestano i loro volti, le loro persone, i loro edifici per promuovere case di moda, profumi, autovetture, sedie, oggetti. Lo star system descritto con acutezza da Edgard Morin e da altri negli Anni Sessanta, dilaga anche nell'architettura, diventata oggi l'arte più dotata di glamour. E' questa la parola chiave con cui leggere la società contemporanea. Come ha mostrato John Berger, il glamour - cioè la bellezza, il talento, la bravura, l'eleganza, la fortuna - sono l'oggetto dell'invidia dei più, il meccanismo su cui vive e prospera la pubbhcità. Pur con le sue infinite sfumature, la pubblicità non può fare a meno di produrre in tutti noi il desiderio di essere altri da sé; anzi, di invidiare noi stessi nella promessa di consumo che la pubblicità ci offre. Con un simile sogno ad occhi aperti, viene spontaneo domandarsi, quale città stiamo costruendo? In quali luoghi vivremo o almeno vivrà una gran parte dell'umanità futura? RECENSIONE Marco Belpoliti Joseph Rykwert La seduzione del luogo trad. di D. Sacchi, Einaudi,, pp. 366, e 26 G. Lo Ricco, S. Micheli Lo spettacolo dell'architettura B. Mondadori, pp. 229, e 24 SAGGI ittà gno I sindaci di Brooklyn e Manhattan, nel 1893, mimano il ponte, simbolo di un'unica grande New York RYKWERT SPIEGA CHE L'ARCHITETTURA NON PUÒ (NON DEVE) ESSERE GUIDATA DA RAGIONI ECONOMICHE, MA DA CONCETTI, E DESIDERI CHE ESPRIMANO LA PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA