Nella stagione del ricambio si fanno largo i quarantenni

Nella stagione del ricambio si fanno largo i quarantenni Nella stagione del ricambio si fanno largo i quarantenni La rivoluzione è stata anche generazionale. Con alcune, particolari, eccezioni Flavia Podestà ULTIMO in ordine di tempo, perché la nomina è avvenuta proprio il martedì dopo Pasqua, è Ranieri De Marchis, 42 anni - una laurea in Economia alla Luiss di Roma e un Mba all'Insead di Fontainebleau e il gallone di Chief Financial Officer di UniCredito Italiano. L'ultimo di una pattuglia che ormai sta acquisendo la consistenza della colonna. Il nuovo che avanza nell'universo delle banche italiane - sino ai primi Anni Novanta ritenuto ancora dai più, non a torto, la «foresta pietrificata del credito» - non riguarda più soltanto i mestieri che gli istituti hanno incominciato e pretendono di fare, ma anche i vertici degli organigrammi. La fine della specializzazione e la transizione verso le complessità della banca universale, almeno in una prima fase, non hanno messo in discussione la prima linea della responsabilità. Forse per convincere organici spesso pletorici e restii all'innovazione, ad accettare il cambiamento che si imponeva - e per far digerire ad uno dei sindacati più potenti le inevitabili conrezioni al ribasso della consistenza complessiva degli addetti e una certa mobilità interna - i maggiori banchieri italiani si sono mossi con i piedi di piombo. Quasi che il quaeta non movere - almeno ai livelli più alti della managerialità bancaria - fosse un valore da preservare in sé: persino al di là del patrimonio di competenze che potevano essersi accumulate dietro ad una figura di capo (carismatico o meno che fosse). Dalla metà degli Anni Novanta in poi, però, due fattori hanno progressivamente indotto la rottura delle dighe che proteggevano l'alta dirigenza nelle banche. Da un lato, la valanga di aggregazioni, acquisizioni, fusioni, alleanze prodottesi tra gli istituti di credito di tutte le stazze - impegnati nella ricerca di una dimensione competitiva più congeniale all'era della globalizzazione dei mercati - ha finito per far piazza pulita di tanta parte del notabilato bancario perché - a dispetto di tutti i tentativi di costruire federazioni creditizie che riproducessero, con il manuale Cencelli, negli organi societari e nei vertici operativi gli equilibri preesistenti nelle singole banche, alla fine il più forte imponeva i suoi manager: e il cambio costituiva il precedente per giustificare aggiustamenti successivi. Dall'altro, i nuovi mestieri - dalla corsa all'asset management all'investment banking - e la fecalizzazione sul cliente con la scomposizione della clientela per grandi tipologie (retail, private, corporale), hanno creato ampi spazi per nuove professioni, nuove specializzazioni. Entrambi i fattori - oltre che la voglia dei nuovi vertici bancari di circondarsi di uomini scelti da loro e, pertanto, di loro fiducia - hanno facilitato il salto generazionale anche nella primissime file dei principali istituti italiani. Cosi oggi - immaginando di fissare in un immaginario ritratto di famiglia in un intemo i signori del credito - non è difficile vedere in quel gruppo volti non ancora segnati dal tempo. E, se è vero che l'età di per sé non è necessariamente un fattore vincente e che non tutte le novità testate hanno dato risultati a prova d'errore, è anche vero che l'aver inserito anche ai massimi piani delle responsabilità linfe nuove (specie se selezionate con prudenza come avvenuto nelle banche migliori), non digiune del mondo fuori dai confini e dotate di esperienze professionali variegate, ha indubbiamente arricchito un microcosmo che per troppo tempo aveva selezionato la propria classe dirigente per lo più per scatti di camera intema. Questo potrebbe valere persino per un concentrato di competenze irriproducibili fuori dal novero delle persone che le posseggono quale è una banca d'affari: il che potrebbe non far disperare nemmeno per Mediobanca, dove Alberto Nagel e Renato Pagliaro che - continuando a fare ciò che hanno sempre fatto in questi anni - dovranno far fronte anche alla parte dei compiti di Vincenzo Maranghi che, per il connotato specialistico, non possono essere trasferiti a un presidente non banchiere. H condizionale è d'obbligo, comunque. Per tutti. Perché quasi ovunque il nuovo che avanza si è imposto, anche se non sempre è coinciso strettamente con un ricambio generazionale. Nella Popolare di Milano, per esempio, il nuovo che avanza - che è riuscito a rimettere in sesto i bilanci e a chiudere le partite più problematiche - ha i tratti non nuovissimi di Roberto Mazzetta. E alla Bnl, è l'accoppiata Luigi Abete/Davide Croff - di cui tutto si può dire salvo che si tratti di due yuppies - a lavorare per mettere la parola fine al nodo Argentina, con un impegno e delle prospettive da non trascurare se sull'istituto capitolino ha deciso di scommettere un imprenditore come Diego Della Valle che sa bene il fatto suo e non risulta essere un filantropo. Per due casi in cui il nuovo ha i tratti rassicuranti del già conosciuto, ci sono miriadi di esempi in cui il nuovo è nuovo davvero o quasi. Sono giovani il presidente Carlo Fratta Pasini e l'amministratore delegato Fabio Innocenzi, ossia gli uomini brillanti della Popolare di Verona che hanno saputo vincere le diffidenze di Siro Lombardini sino ad andare all'abbraccio con la Popolare di Novara, dando vita alla più importante )opolare in Italia, il cui primato potreb3e essere insidiato dal matrimonio in corso tra la Popolare di Bergamo di Emilio Zanetti e la Popolare Commercio e Industria di Giancarlo Vigorelli: sulla unione in costruzione sull'asse Milano/Bergamo sarà poi Giampiero Auletta Armenise, un giovane a governare sia pure a stretto contatto di gomito con Alfredo Gusmini che della Bergamo conosce ogni risvolto non da oggi. Costruita sulla carta in un'alleanza alla pari l'unione tra la Popolare di Verona e quella di Novara, ad un certo punto, ha visto un certo prevalere dei veneti: per la loro capacità di creare valore. Piero Montani, che aveva risanato la Popolare di Novara, ove era giunto dal Bolo, non ha fatto in tempo a dare forfeit: è stato catturato dall Antonveneta (il gruppo creditizio di Padova che annovera tra i suoi soci i Benetton, Abn Amro e i bresciani dell'Hopa, tra cui Chicco Gnutti, e che ha da poco completato l'Opa su Interbanca) - che con U più giovane amministratore delegato sta disegnando un nuovo futuro di crescita. Ma il nuovo avanza anche nei big del settore. E' un giovane - Marco Mazzucchelli, quarantenne bocconiano di successo con trascorsi al MontePaschi - ad aver assunto la responsabilità del waelth management in casa del San Paolo Imi. Un grosso salto generazionale è stato compiuto anche in Capitalia, nonostante permanga intatte la certezza che nell'istituto capitolino non si muove foglia che Cesare Geronzi non voglia. Ha, comunque, appena 39 anni Matteo Arpe - laurea «magna cum laude» alla Bocconi ed un lungo training in Mediobanca - che non è solo l'uomo dei casi difficili e un po' imbarazzanti (dalla Bipop al caso Cirio), ma nel ruolo di direttore generale del gruppo Capitalia è anche il responsabile di tutte le funzioni esecutive, a partire da quelle delicate come il comitato credito di cui è presidente. Sempre sotto le insegne di Geronzi, un altro giovane (42 le primavere, insieme a una laurea in Economia e quasi 10 anni di insegnamento universitario tra Siena, la Luiss e La Sapienza a Roma) di grandi prospettive è Massimo Ferrari, direttore generale di Fineco group, sub holding dei servizi finanziari integrati di Capitalia. Nuovo che più nuovo non si può, infine, è il team che in questi anni ha contribuito a costruire, sotto la guida di Alessandro Profumo, il successo di Unicredito Italiano. Profumo, intanto, che di anni ne ha appena 46, ma che gioca ai vertici della classifica nazionale di settore da quasi un decennio. Molto determinato, 1 amministratore delegato delTUniCredit si è circondato di quattro proconsoli nelle quattro divisioni chiave del suo business - Andrea Moneta, 37 anni, responsabile del Wealth Management; Roberto Nicastro, 38 anni (bocconiano) responsabile divisione New Europe; Luca Malocchi, 44 anni, una laurea in Fisica e un master in ingegneria gestionale, responsabile divisione retail; Pietro Mediano, 52 anni (bocconiano), responsabDe delTUniCredit banca d'impresa e ad di Uhm - e ne ha fatto altrettanti vice direttori generali. Matteo Arpe direttore generale di Capitalia Alessandro profumo, amministratore delegato di umcredit