«Menem primo dopo dieci anni di guasti»

«Menem primo dopo dieci anni di guasti» JORGE HALPERIN: LA BATTAGLIA PER LA PRESIDENZA E' ANCORA APERTA «Menem primo dopo dieci anni di guasti» I ballottaggio dimostra che l'Argentina è il Paese dei paradossi intervista Francesca Ambrogetti JORGE Halperin, come vede il fenomeno di queste elezioni dove per la prima volta si va a un ballottaggio e per la prima volta due peronisti si contendono il potere in Argentina? «E' uno dei tanti paradossi della politica del mio Paese. Il partito peronista che affronta la crisi più drammatica della sua storia, dilaniato da irreparabili divisioni inteme che lo hanno spezzato in tre tronconi, sta vivendo anche un momento di gloria. Quando andranno a votare il 18 maggio per il secondo turno gli elettori non potranno scegliere se non un candidato peronista. E le lascio immaginare con che stato d'animo lo faranno gli antiperonisti viscerali, che ancora oggi sono tanti in Argentina». Come interpreta la rinascita di Carlos Menem? «Un altro perfetto esempio di paradosso. L'ex presidente è nello stesso tempo il candidato che ha ottenuto la maggiore percentuale di voti e quello che concentra il più alto indice di avversione da parte dell'opinione pubblica. Che nel giro di pochi mesi sia passato dalla contestazione di piazza - i nostri pittoreschi "cacerolazos" - alla vittoria elettorale di domenica, anche se di stretto margine, è una specie di miracolo politico». Che è successo in Argentina nei quindici mesi che sono passati dalle rivolta popolare, da far perdere forza all' esigenza di un rinnovamento totale della classe politica e consentire un'ordinata transizione elettorale? «E' vero le cose sono cambiate e la situazione oggi e ben diversa da quella che si poteva immaginare appena un anno fa quando lo slogan più ascoltato nelle manifestazioni era il famoso "que se vayan todos" (che vadano via tutti). Il sistema politico è stato capace di neutralizzare questa fortissima protesta e la prova evidente è che nelle elezioni di domenica il livello di partecipazione, voti in bianco e voti annullati, è stato normale. I dirigenti dei partili hanno capito che era necessaria una trasformazione tattica. Il bipartitismo non é morto in Argentina come tutti sostengono, si è semplicemente mascherato. I sei principali candidati non sono altro che frazioni dei due partiti che da oltre mezzo secolo occupano quasi tutti gli spazi politici: il peronismo con i suoi tre volti e l'unione civica radicale che oltre al candidato ufficiale Leopoldo Moreau ha dato origine alle nuove proposte di Ricardo Lopez Murphy e Elisa Canio». Qual è la sua previsione per il 18 maggio? «Non c'è niente di sicuro. La partita è aperta. Molti sostengono che per avere delle possibilità di risalire la china dell'ostilità della maggioranza dell'elettorato Menen avrebbe dovuto staccarsi di almeno dieci punti dal secondo e ciò non è avvenuto. Ma adesso cominciano i giochi delle alleanze nei quali l'ex presidente ha dimostrato di essere molto abile e mi domando quanti dei voti di Lopez Murphy Uberista come l'ex presidente o del populista Rodriguez Saa ricadranno su Menem.Vorrei ricordare l'esempio abbastanza recente delle elezioni in Ecuador. Anche lì come in Argentina un'alta percentuale di elettori aveva dichiarato che avrebbe mai votato il candidato Lucio Gutierrez che invece poi ha vinto». L'ex presidente è giudicato da molti il diretto responsabile della crisi attuale, a che cosa attribuisce il fatto che abbia comunque vinto le elezioni? «E' un altro dei fenomeni poco comprensibili della politica argentina. I dieci anni di Menem hanno provocato nella società dei cambiamenti irreversibili la cui conseguenza più palese è l'impoverimento di vasti settori. Gli stessi da dove Menem attinge gran parte dei suoi elettori. La potremmo definire una specie di Sindrome di Stoccolma». Questo ritorno al normale avvicendamento elettorale dopo le drammatiche vicende del dicembre 2001, fa sperare in un futuro più promettente per l'Argentina? «La strada è in salita. La società argentina che nel 1983 aveva creduto alle promesse del primo presidente eletto dopo il regime militare Raul Alfonsin secondo il quale la democrazia era il magico rimedio di tutti i mali ("con la democrazia si mangia. con la democrazia si cura, con la democrazia si insegna", era il suo slogan preferito) ha sofferto un brusco risveglio. Il logoramento più profondo é avvenuto negli ultimi anni anche se le origini della caduta libera vanno ricercate più indietro. E' adesso la pazienza è finita. Credo che gli elettori non sono più disposti a firmare assegni in bianco e chiederanno al governo che verrà eletto risultati rapidi». Le nuove autorità saranno in grado di dare queste risposte? «Non sarà facile. La situazione economica non lo consente. Non dimentichiamo che il Fondo monetario internazionale sta soffiando sul collo dei candidati e esige degli adempimenti impossibili da conciliare con la maggiore distribuzione che esige la società. Nel caso di Menem sap¬ piamo che là sua politica è quella di seguire alla lettera i diktat del Fondo mentre se il prossimo presidente sarà Nestor Kirchner le trattative verranno condotte con maggiore elasticità. In qualsiasi dei due scenari comunque si punterà alla ripresa dell'economia attraverso le esportazioni. Questo si traduce in un dollaro alto e salari più bassi». C'è una ricetta per affrontare la situazione? «Le intese politiche saranno un compito indispensabile per il candidato vincente. Se fosse Carlos Menem dovrà dimenticare lo stile di governo egemonico che ha caratterizzato le sue due presidenze e intavolare trattative permanenti per una gestione concordata. Nel caso di Kirchner il compito sarà più facile perché parte da zero». Nestor Kirchner, il candidato peronista che il 18 maggio contenderà la Presidenza a Carlos Menem, feteggiato da una folla di sostenitori a Buenos Aires

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Stoccolma