Musical Un successo che arriva da lontano di Simonetta Robiony

Musical Un successo che arriva da lontano LACO IVI Musical Un successo che arriva da lontano intervista Simonetta Robiony LA consacrazione l'hanno offerta gli Oscar a «Chicago», il film che ha sbancato botteghini e premi nel mondo. Ma che U musical stesse tornando ad essere vincente, l'Italia lo sapeva da tempo. Quest'anno, poi, è stato un vero boom. Saverio Marconi e la sua compagnia della Rancia, l'unico vero gruppo a sfidare la storica ditta Garinei-Giovannini, ha messo in scena «Pinocchio» con le musiche dei Pooh. I {rateili De Angelis, oggi produttori ma un tempo famosi Der aver inventato il jingle «Sandotan, Sandokan», hanno riadattato dalla Francia «I dieci comandamenti», con la figlia di Zucchero a far notizia. Lucio Dalla, anche senza Sabrina Ferilli, si prepara a debuttare con la sua «Tosca» che non è un vero musical, ma insomma. Tato Russo, che pure è un serio regista teatrale, s'è buttato sul musical facendone perfino uno su Maradona e adesso ha osato «I promessi sposi» da Manzoni. Cocciante, che dopo il successo di «Notre-Dame» i francesi acceccati dallo sciovinismo considerano uno di loro, è arrivato con un altro classico, «Il piccolo principe» da Saint Exupèry. Milva, insieme a David Riondino, s'è sperimentata in una invenzione di Michele Serra, il fustigatore dei costumi,. in. «Peter Uncino», «dialogo concertante», ispirato A Peter Pan. Perfino all'Ambra Jovinelli di Roma, tempietto della satira diretto da Serena Dandini, è in scena in questi giorni un musical, «Carmen de los Corrales», e la gente va a vederlo. Ma che è successo? Non s'era sempre detto che il musical è un prodotto americano, poco o niente amato dagli italiani che preferiscono l'opera o al più l'operetta? Non s'era guardato al musical con una certa aria di fastidio, considerandolo una forma di spettacolo inferiore, buona per le anime semplici? E invece oggi gli attori, molti, quando raccontano U loro curriculum, citano lo spettacolo musicale al quale hanno partecipato come avessero preso ima laurea a Cambridge. Da Sabrina Ferilli, la prima ad aver abbandonato il cinema per trasferirsi al Sistina dove ha trionfato con «Il Rugantino» fino a Giulio Scarpati, che ha lasciato il «Medico» televisivo e il teatro di Dostojevski, per fare «Aggiungi un posto a tavola», nel ruolo che fu di - Dorelli.'lnsomma, perché oggi l'Italia ama tanto il musical? Lo abbiamo chiesto a Pietro Garinei, colonna portante, da solo e in coppia con Sandro Giovannini, della commedia musicale italiana, uno che in qua- rant'anni e passa di attività, nel suo Sistina di Roma, ha messo in cartellone una ottantina di titoli, il solo a poter avere uno sguardo lungo su questo fenomeno. Garinei è un signore di modi squisiti e antiche cortesie: inutile aspettarsi da lui giudizi negativi sui molti autori spuntati in questi anni a fargli concorrenza. E poi lui il musical lo ama: più ce n'è e meglio è. Purché si rispettino la qualità e il pubblico. Sorpreso da questa esplosione del musical di cui per anni e anni è stato il solo difensore? «Difensore è una parola grossa. Sono solo un artigianello che lavora dalla mattina alla sera. No. Non sono sorpreso. È un fenomeno partito da lontano. E non sono solo i grandi spettacoli che tutti conoscono ad avere successo. Piacciono anche i piccoli, quelli che nessuno recensisce». '. Ce ne sono molti? «In questo momento sono almeno una trentina le compagnie amatoriah che fanno musical. Alcune le vado pure a vedere». Davvero? «Giorni fa al Sistina sono arrivati una ottantina di bambini per assistere ad "Aggiungi un posto a tavola" perché lo stanno allestendo anche loro». E questi interpreti delle compagnie amatoriali sono bravi? «Molto. Hanno energia, impegno, preparazione fisica, entusiamo». A che si deve questo mutamento di gusti degli italiani? «Intanto tutti fanno palestra. Le scuole di ballo e di canto si sono moltiplicate. Gli artisti, come già succedeva all'estero, sanno che fare un musical significa esprimersi nella maniera più totale: con la voce, col corpo, con la musica, con i costumi, con le scene. Il musical è uno spettacolo collettivo: non ha un autore. Ne ha dieci, ne ha cento». Per un attore, quindi, non dovrebbe essere più soddisfacente un bel monologo? «Gli attori hanno capito che il musical è difficilissimo: riuscirci è una impresa che li attrae. La Ferilli ha provato per mesi a cantare con Travajoli. E Giulio Scarpati, adesso, ha studiato a lungo prima di debuttare». In passato il solo che osò questo salto fu Mastroianni con «Rodolfo Valentino», ma Mastroianni era un uomo mosso soprattutt " dalla curiosità. «Allora erano pochi, pochissimi quelli che accettavano di lasciare il cinema o il teatro per mettersi a cantare e a ballare da noi. Piuttosto succedeva l'inverso. Montesano, Proietti sono partiti da qua e sono arrivati al cinema e al teatro. Ma allora era complicato perfino trovare i ballerini, mentre oggi, all'ultima audizione, si sono presentati 180 ragazzi e 220 ragazze. È un altro mondo». Sarà stata la televisione a sviluppare questa passione psr il ballo e per il canto? «Non credo. La tv di oggi non ha niente a che fare con il musical. Loro registrano: se uno sbagha si rifa. E si esibiscono davanti a un pubblico pagato per applaudire. Certo, al tempo del "Musichiere" con Mario Riva o della "Canzonissùna" con Delia Scala, Panelli, Manfredi, in televisione si lavorava come si fa in teatro. Per i quattro minuti di spettacolo che gli ospiti facevano con Riva se ne andavano tre giorni di prove». Negli Anni Settanta, e per molto tempo ancora, il musical era considerato un genere sciocco. «C'era il predominio della politica, allora, del teatro impegnato. Noi facemmo "Hair" e avemmo problemi pon il Vaticano che non gradiva. È vero: la critica ci ha accusato a lungo, me e Sandro, di fare commedie qualunquiste, accomodanti, a lieto fine. Un po' è così. Solo in "Rugantino", tra tutte le cose che abbiamo scritto, c'è un morto. Ma non è qualunquismo il nostro. È che il pubblico ha bisogno di rasserenarsi. Per questo noi di pubblico ne abbiamo sempre avuto tanto». Eravate da soli? «Sì. eravamo soli anche perché un musical costa caro. Per arrivare all'apertura di sipario se ne va un miliardo e mezzo di vecchie lire». Adesso invece l'impresa rende? «Il bisogno che ha la gente di essere rassenerata è cresciuto. E non ci si vergogna ad ammetterlo. Il successo dei comici ne è un'altra prova». Non sarà solo una moda, questa del musical all'italiana? «Spero di no. Nel nuovo regolamento dello spettacolo è prevista la nascita di un teatro nazionale per la commedia musicale. Mi pare il segno di una stabilità». ' iLigL È un tipo ^^ di spettacolo totale, collettivo Gli artisti possono esprimersi nella maniera più totale, con la voce, con il corpo, con la musica, con i costumi: questo affascina. Gli attori hanno capito che si tratta di tiÈktik una grande prova 77 A sinistra Pietro Garineì. A destra foto dall'alto della, tavolata di «Aggiungi un posto a tavola», versione Dorelli-Valori. Adesso al posto dIJohnnyDorelli . c'è Giulio Scarpati Sabrina Ferilli con Valerio Mastandrea nell'ultima versione del «Rugantino» ^^L Non è un genere sciocco, come si diceva ^" negli Anni Settanta, quando dominava il teatro "impegnato". Ma non eravamo A A qualunquisti: noi davamo (e diamo) serenità 7T?

Luoghi citati: Cambridge, Francia, Italia, Roma