La STRGE Esplode il deposito dei missili di Saddam di Giuseppe Zaccaria

La STRGE Esplode il deposito dei missili di Saddam DOIPOGUSRUASEMZAmCE MELI A CAPITALE IRACHENA La STRGE Esplode il deposito dei missili di Saddam op reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD UNA prima esplosione all'alba, una seconda mezz'ora più tardi. E poi intomo alle otto una paurosa successione di boati simili a quella dei bombardamenti che bersagliavano Baghdad fino a due settimane fa: è saltata una santabarbara zeppa di missili e gli ordigni hanno colpito le case vicine. Il quartiere popolare di Zafaraniah è l'ultimo, devastato simbolo di una guerra che non vuole saperne di finire e forse si esaurirà davvero solo con la cattura di Saddasm Hussein. Oggi le immagini parlano ancora di morte e di ribellione: nel borgo periferico punteggiato di palme, una prima quinta di povere palazzine è stata investita in pieno da missili impazziti come in un enorme fuoco pirotecnico e dall'onda d'urto delle esplosioni, cinque case sono crollate del tutto, altre decine mostrano danni paurosi, ci sono già almeno dodici morti accertati, fra cui donne e bambini, ed i feriti sarebbero una quarantina. A fare ancora più paura è però la rabbia che si scatena, la reazione popolare contro l'esercito occupante, le sassaiole ed i colpi di mitra sparati contro i «liberatori» (c'è anche un soldato americano ferito). «Il deposito è stato attaccato da uomini fedeli al vecchio regime e la santabarbara è esplosa per questo», riferisce la versione ufficiale americana, però nell'immediatezza dei fatti altri marines avevano parlato di «un incidente», di una esplosione che avrebbe dovuto essere controllata ed invece è sfuggita di mano agli artificieri. La gente di Baghdad non crede all'attentato e comunque accusa gli americani di aver scelto per questa operazione un'area troppo vicina alle abitazioni civili: «Non vi curate delle vittime innocenti», «Per voi le nostte vite contano niente», era-scritto sui cartelli che migliaia di persone innalzavano durante la manifestazione. Ed i mullah sono tornati a guidare la protesta. La caserma di Rasheed è uno dei maggiori impianti militari della città, sorge nel- , la periferia a Sud-Est e copre, divèrsi'èttari? Una supestraJ da la taglia in due, limitata da muraglioni gialli, il perimetro della base conta ventiquattro cancelli d'entrata, il complesso si stende per quasi quattro ettari punteggiati di baracche, depositi, uffici di comando. Secondo John Piloby, colonnello americano, nella caserma Rasheed c'erano «almeno tre milioni di armi leggere, una grande quantità di esplosivi e diciotto missili». Altre armi ed altri missili erano stati ammassati qui dagli americani che hanno appena iniziato la «bonifica» di una città dove i camion lanciarazzi e le batterie di katjusha ancora giacciono abbandonati sotto i viadotti. Liberare Baghdad dagli ordigni abbandonati dall'esercito in fuga era dunque, e rimane, operazione indispensabile. Il problema è che per compierla gli artificieri americani avevano ricavato all'interno della base un'area che erroneamente era stata rite¬ nuta sicura: un grande spiaz;. zoi^tPello della pk&zk d'anhi, tramutato in poligono nel quale una dopo l'altra le armi più pericolose venivano interrate e fatte brillare. Sono giorni che a Baghdad le esplosioni dei missili distrutti con questo sistema irrompono nel caos delle strade, sovrastando per un attimo la sinfonia dei clacson impazziti e le urla di conducenti in perenne crisi di nervi. La città si sta abituando anche a questo e all'incirca ogni mezz'ora aspetta più o meno consciamente un nuovo boato lontano, un ennesimo tuffo al cuore. Ed anche ieri era cominciata così, fino all'improvviso e lunghissimo brontolìo che veniva da SudEst. L'operazione dunque si era iniziata come ogni mattina ed era proseguita regolarmente per circa un'ora. Ai primi giornalisti, giunti a ridosso della caserma, marines molto nervosi hanno detto che non si poteva proseguire e che lì si era appena verificato un incidente, forse un'esplosione avvenuta troppo vicina ad altri ordigni, che aveva innescato una reazione a' catena. Poco più tardi, invece, le prime dichiarazioni dei comandanti americani sono state di registro molto diverso, indicando come causa dell' esplosione «un attacco compiuto con razzi», ed il comando di Doha, in Qatar, avrebbe confermato la posizione aggiungendo che si sarebbe trat¬ tato di un'incursione di «elementi fedeli a Saddam Hussein». Non c'è stato alcun modo, né probabilmente ci sarà, per capire quale delle due ricostruzione sia quella autentica: con molte difficoltà si sono potute raggiungere le prime case di Zafaraniah, dove la gente stava già scavando da ore alla ricerca delle persone sepolte. La casa della famiglia Zaher era una delle prime, appena poco più di una catapecchia con una giardinetto attorno, e dinanzi al cratere creato dal missile che le si era abbattuto sopra, c'era un uomo fuori di sé. Si chiama Hassan Zaher, fa l'operaio e quando è avvenuto il disastro, era appena uscito di casa, sotto quelle mura cancellate ha perduto genitori, moglie e tre figli. Poco più in là, dall'acqua fangosa che , riempiva il cratere si vedevano spuntare i piani di coda di quello che doveva essere stato missile di tipo «Frog 7». Appena più in là, chi smetteva di scavare lo faceva solo per piangere ed imprecare contro gli occupanti. «Per loro siamo come animali, fanno quel che vogliono e come vogliono», singhiozzava una donna, ed un altro: «Hanno distrutto la mia casa, hanno ucciso altri bambini, ci trattano peggio di come ci trattava Saddam...». Le sassaiole sono partite subito dopo, all'apparire di un piccolo reparto americano: i tre «Humvee» hanno fatto subito marcia indietro per non provocare altre reazioni. Ma dal sobborgo hanno subito cominciato a muoversi auto e camioncini diretti verso il centro, carichi di uomini che con grida furiose avvertivano via via gli alti quartieri di cos'era successo. Altri mezzi americani sono passati attraverso fitte sassaiole e si sono udite anche raffiche di mitra in pieno giorno. Nel frattempo, un altro mullah con grande tempismo si metteva alla guida della protesta. ((Avevo parlato due giorni fa con gli americani - gridava Abdel Karum Al Shamarraq, capo della moschea del quartiere - Ero andato nella caserma per dire loro che i muri delle nostre case tremavano ad ogni esplosione, avevo chiesto loro di far brillare gli ordigni più lontano ed il loro comandante aveva promesso che presto avrebbe spostato il luogo di quelle operazioni...». Il corteo d'auto si è trasformato presto in manifestazione di folla che, come sempre, ha invaso la Saddoun Street per raggiungere l'albergo Palestine, con il mullah Shamarraq che lanciava parole d'ordine ed incitava nuovi cori amtiamericani. Lungo tutto il percorso del corteo i soldati occupanti seguivano gli avvenimenti ad armi spianate, nervosissimi ma stando anche bene attenti a non innescare altre reazioni. Il clima di Baghdad, già arroventato da una tempesta di sabbia che dura da due giorni, forse non era stato mai così difficile per i «liberatori». La rabbia popolare si è sfogata con sassaiole e spari contro i soldati americani, cortei guidati da mullah hanno invaso le strade Una catena di esplosioni ha svegliato Baghdad come al tempo dei bombardamenti Usa. Subito i marines hanno detto che si era trattato di un incidente alla caserma dove si ammassano le armi irachene da smantellare Poi il comando ha spiegato che era un attentato di elementi legati al vecchio regime Razzi impazziti hanno colpito il quartiere di Zafaraniah distruggendo decine di povere case. I morti contati finora sono dodici, fra cui donne e bambini. Quaranta iteriti. La gente non crede alla versione dell'attentato. «Per loro siamo come animali Ci trattano peggio di come faceva il dittatore» Un momento della protesta contro gli americani dopo l'esplosione del deposito di armi nei sobborghi di Baghdad wamgmmmm Abitanti del sobborgo di Zafaraniah si aggirano sgomenti tra le macerie delle case distrutte

Persone citate: Abdel Karum, Hassan Zaher, John Piloby, Palestine, Saddam Hussein, Saddoun, Zaher