Ultimo rebus per il cda delle Generali

Ultimo rebus per il cda delle Generali SI CERCANO QUATTRO DIMISSIONI PER DAR LUOGO AL RICAMBIO. THEO WAIGEL NEL CONSIGLIO GENERALE DELLA COMPAGNIA Ultimo rebus per il cda delle Generali Intesa candida Bazoli, incerta la seconda vicepresidenza Flavia Podestà Inviata a TRIESTE A Trieste hanno negoziato fino a sera, prima di poter sistemare tutti i tasselli del puzzle che verrà presentato oggi. Non le banche, ovviamente, che avevano dato da giorni le lord indicazioni per le new entry. Ma gli uomini delle Assicurazioni Generali per convincere qualche consigliere in carica a farsi da parte e consentire così a chi ha investito di recente nella compagnia triestina di inviare un proprio emissario in consiglio. Fuori discussione, data la correttezza del soggetto, l'uscita di scena di Franco Cingano e, di conseguenza, la possibilità per Gabriele Calateli di Genola - da poche settimane nuovo presidente della Mediobanca - di venir cooptato nel consiglio delle Generali che si riunirà oggi dopo l'assemblea, e poi nominato vicepresidente. Non sembra invece esserci la disponibilità della compagnia a procedere alla nomina di un secondo vicepresidente, per cui il presidente della Fondazione Cariverona Paolo Biasi si troverebbe costretto a rinunciare ad un incarico che si diceva (ma è tutto da dimostrare) gli stesse molto a cuore. Una certa ritrosia a farsi da parte si spiega con il ruolo cruciale che si prospetta in questi anni al Leone di Trieste. Le Generali - che hanno piazzamenti straordinari in tutti i Paesi europei, salvò che in Gran Bretagna - sono la quintessenza della Mitteleuropa: forse l'unico simbolo unificante sopravvissuto ai travagli del Novecento. E sulla Mitteleuropa investono e scommettono ancor più di prima, proprio nel momento in cui per la Repubblica Ceca, per la Slovacchia, per l'Ungheria, per la Slovenia insomma per tutti i Paesi della Mitteleuropa (e per quelli limitrofi come Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia) finisce l'apartheid. E' oggettivamente difficile farsi da parte, mettere a disposizione una poltrona che per tutto un altro anno almeno non sarebbe stata in discussione, e lasciare ad altri di partecipare alla costruzione di uno sviluppo che - al di là di quelle che possono essere le fluttuazioni dei mercati (che nel 2002 tanto hanno inciso negativamente sugli investimenti delle compagnie di assicurazione) e dei capricci della congiuntura può rivelarsi davvero entusiasmante, e non solo sotto il profilo del business. Alla fine, però, l'intesa si è trovata e i delicati equilibri abbozzati nei giorni della firma della pace in Mediobanca hanno trovato una loro maggior concretezza, anche se poi verranno formalizzati solo questo pomeriggio: cóme si è detto, al termine dell'assemblea della compagnia triestina. A dispetto di certe indiscrezioni - che davano per scontate le dimissioni di Fabio Cerchiai (di cui si può comprendere il rimpianto, essendo ancora in forza nel Leone), di Emilio Dusi e di Arturo Romanin Jacur - dal quartier generale della compagnia non sono filtrati rumors di sorta. Le dimissioni - ormai blindate - sarebbero però quattro cosicché sia le tre banche Unicredit, Capitalia, MontePaschi - accreditate di un 8,507o del capitale nelle Generali, messo insieme per accelerare la chiusura della partita Mediobanca (e, quindi, da considerarsi come investimento temporaneo), sia Banca Intesa che il suo più che scarso 207o lo ha costruito per suggellare un'alleanza industriale nella bancassurance or- mai rodata e in procinto di diventare un business ancora più vasto - hanno potuto spegnere i cellulari, nella certezza che le candidature da loro avanzate sarebbero andate in porto. Tutti soggetti terzi rispetic agli istituti di credito, i futuri consiglieri suggeriti da Unicredit, Capitalia e Mps che così hanno scongiurato il rischio del conflitto d'interessi: rispettivamente si tratta di Alessandro Ovi (uno dei manager più vicini a Romano Prodi) per l'istituto milanese; di Alfredo Malguzzi (sindaco supplente in Pirellona e in Tim) per quello capitolino e di Luigi Bianchi (docente della Bocconi) per la banca senese. A difendere i colori di Banca Intesa - vista la «strategicità e stabilità dell'investimento compiuto» a Trieste non poteva che inviare in consiglio un esponente di spicco dell'istituto - è stato chiamato il presidente Giovanni Bazoli. MoltepUci sono i motivi che giustificano questa scelta. Innanzitutto si tratterebbe di una reciprocità di trattamento con le stesse Generali che - da azioniste di Banca Intesa hanno inviato nel consiglio dell'istituto milanese di via Monte di Pietà il loro presidente Antoine Bemheim, che oggi verrà confermato nell'incarico dal consiglio postassemblea. Lo stesso consiglio, in una prossima riunione, dovrebbe poi convocare l'assemblea straordinaria alla quale sottoporre le modifiche statutarie necessarie per far coincidere la durata della presidente delle Generali con quella del consiglio della compagnia. Altro motivo a favore dell'approdo di Bazoli a Trieste è il fatto che; il professore bresciano era entrato nel consiglio dell'Alleanza quando transitava per quest'ultima il rapporto privilegiato con le Generali. Ciggi che l'intesa nella bancassurance avviene direttamente - con la creazione di una joint venture paritetica - tra Intesa e Generali, è logico che il presidente della banca milanese si sposti nel consiglio del Leone di Trieste. Di cui va notata un'altra particolarità. Per completare il Consiglio generale - l'organo di alta consulenza che si riunisce a Venezia - le Generali hanno chiamato Theo Waigel, ministro delle Finanze nell'ultimo governo Kohl: lo stesso ministro che negli anni di preparazione dell'euro aveva fatto vedere i sorci verdi a Prodi, perché voleva escludere l'Italia da Eurolandia. Poi si sa com'è andata la storia: il Belpaese è entrato nell'euro tra i primi e Waigel (almeno per quanto riguarda la sua carriera politica) è andato in pensione. Giovanni Bazoli