«Aziz temeva qualcosa Era triste, e la moglie era diventata tirella»

«Aziz temeva qualcosa Era triste, e la moglie era diventata tirella» LE CONFIDENZE DI UN DOMESTICO DEL VICEPREMIER ARRESTATO «Aziz temeva qualcosa Era triste, e la moglie era diventata tirella» «I bombardamenti del 9 aprile contro la sua residenza accanto al ponte sul Tigri hanno devastato una casa vuota: lui e la famiglia si erano trasferiti in una villa sempre lungo il fiume, ma più a Sud» reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD GIÀ' una settimana prima della guerra Umm Ziad, la moglie di Tarek Aziz, aveva avvertito tutto il suo clan che era il momento di sparire, e se possibile di uscire dall'Iraq...». In una villetta del quartiere di Wassiryiah un giovane caldeo di nome Benjamin racconta i suoi ultimi contatti con la seconda figura del regime: conosce abbastanza bene le cose perché fino al 19 di marzo è stato al servizio della famiglia Aziz come prima lo era stato suo padre. Era il domestico, e posto che 'per' il suo domestico nessun gentiluomo è veramentetale; può raccontare cose interessanti. Anche Benjamin è originario di Mosul e ricorda il vicepremier con un certo affetto, in fondo per molti anni ha dato di che vivere alla sua famiglia. Naturalmente, nulla può sapere di contatti dell'Fbi e trattative segrete del suo ex principale, ma può raccontare dettagli interessanti se non altro perché rafforzano un certo genere di perplessità. Siamo arrivati alla sua casa dopo aver aggirato una serie di «fonti» (quasi tutti uomini dell'ex ministero deU'Informazionel che fino dall'alba di ieri telefonavano o bussavano alle camere d'albergo offrendo rivelazioni a pagamento sulla resa di Tarek e clamorose interviste con questo o quel «mediatore». Tra breve Benjamin ci offrirà anche qualche scorcio sulla vita privata di un potente, ma prima fissiamo l'attenzione su di un punto: «I rapporti fra Tarek Aziz e Saddam Hussein si erano molto raffreddati negli ultimi tempi, soprattutto da quando, un paio d'anni fa, il Raiss aveva fatto arrestare suo figlio Ziad causa il rapporto con una ballerina venuta dal Maghreb e che, secondo il "Muhkabarat", era una spia». Aziz non aveva mai digerito quello sgarbo e anche se poi Ziad, su intervento diretto di sua madre, era stato liberato, i rapporti personali tra i due leader si erano molto raffreddati. E tutto questo rafforza l'idea che difficilmente il numero due del regime potesse sapere quali fossero i piani di fuga del numero uno: insomma, se l'Fbi pensa di trasformare Aziz nella «gola profonda» che possa condurre al na, scondiglio di Saddam, probabilmente dovrà cercarsi altre fonti. Con l'autoconsegna di Tarek Hanna Michael Aziz - l'uomo che non usava più i due nomi intermedi perché troppo chiaramente lo qualificavano come cristiano - i gerarchi del Baath catturati sono stati già tredici. L'ultimo, ieri, è stato Farouq Hijazi, l'ex capo dell'«intelUgence» militare accusato tra l'altro di aver progettato nel '93 un attentato per uccidere Bush padre durante una visita in Kuwait. Dunque, il parco delle possibili spie del «Baath» continua ad allargarsi e soprattutto gli uomini dell'Fbi continuano a trovare parecchie disponibilità. L'ultima offerta speciale è quella dei «documenti segreti» che continuano a spuntare da questo o quell'ufficio, offerti in vendita per cifre che possono partire anche da una richiesta di 100 mila dollari e, volendo, si riducono fino a 1000 o 2000: ce n'è per tutti i gusti, piani segreti della Guardia repubblicana, tattiche di difesa, piante della rete di tunnel sotto Baghdad, inventari di «tesori» attribuiti a questo o quel gerarca. Se questo è il mercato rivolto ai giornalisti, figurarsi quello delle rivelazioni offerte agli investigatori ameri- cani. Dal rincorrersi sfrenato di testimonianze e fantasie, a tratti emerge qualche frammento di verità e uno degli ultimi, pubblicato oggi da tutti i giornali iracheni, appartiene ancora una volta alla dimensione privata dei potenti. Uno dei tanti impiegati del «Palazzo della Pace», indicato col nome di Mansour, racconta di aver colto accenni a piani di fuga del Raiss già tre settimane prima della guerra: gli sarebbe capitato nella maniera più semplice, servendo il tè ai pochi eletti che potevano avere contatti diretti con il Raiss, In base a queste teorie, Saddam Hussein avrebbe lasciato Baghdad nei primi giorni dei bombardamenti americani, subito dopo aver registrato il secondo dei «messaggi alla nazione», e avrebbe raggiunto un luo^o vicino alla frontiera iraniana da cui, lasciando le successive apparizioni ai sosia, avrebbe trattato con gli invasori l'uscita dal Paese assieme con la famiglia e gran parte del suo danaro. La seconda tesi vuole invece che il Raiss sia sempre a Baghdad, città nella quale può nascondersi più facilmente, e che in vista del suo compleanno che cade fra due giorni - il 28 di aprile starebbe preparando una «grande sorpresa» agli ex sudditi ed agli invasori, Baghdad è sempre stata città ricca di affabulazioni, e le storie che continuano a intrecciarsi fra le sue strade si fanno sempre più straordinarie, ma forse conviene attenersi alle informazioni più terra terra e più affidabili. Torniamo al famiglio di Tarek Aziz. Benjamin racconta che le devastazioni avvenute il 9 di aprile nella grande casa dell'ex numero due del regime, sulle rive del Tigri, accanto al ponte della Juhmuriyah, si accanirono centra una tasa vuota. Tarek abitava sì sul Tigri, ma molto più a Sud, nei pressi del ponte Al Qaid, la grande costruzione a due livelli che conduce al sobborgo di Dorah. «Era una villa molto bella, quella che Tarek preferiva, e la famiglia del viceprimo ministro è rimasta lì fino al secondo o terzo giorno dei bombardamenti. Poi si sono spostati, e io ho pensato che l'avessero fatto verso la casa di campagna di Faham, a Nord-Est», «Quello era il luogo in cui Tarek Aziz si recava per riposarsi, intomo alla casa c'è una grande tenuta agricola e dentro, nell'interrato, anche una sorta di gigantesco caveau zeppo di tappeti, mobili antichi, oggetti d'oro,,. Fuggendo con la mia famiglia in direzione di Mosul cercai anche di informami attraverso i guardiani, ma quelli mi dissero che a proteggere la villa erano rimasti soltanto loro. Più tardi, l'avrebbero completamente depredata...». ' «Insomma, mi sono fatto la convinzione che Tarek e i suoi non si siano mai mossi da Baghdad, anche perché qui potevano contare su una rete di amicizie straordinaria. Se fosse venuto a bussare alla mia povera casa e mi avesse chiesto "ospitami", non gli avrei detto di no». Tra i clan familiari, quello della moglie e quello dei doppi consuoceri (sia il primogenito Ziad sia una delle figlie avevano sposato i rampolli della famigUa di Muzaffar Al-Wakill Tarek Hanna Michael Aziz poteva scegliere tra una serie di nascondigli. Si trattava però di rifugi legati al clan e non all'appartenenza religiosa: per i caldei dell'Iraq il vjeeprimo ministro non era mai stato un simbolo, e anzi viene considerato un opportunista. «Sì, il dottor Aziz non era proprio un difensore della nostra fede - continua Benjamin - ogni tanto andava a pregare nella chiesa di Maria Vergine, a Kharrada, ma non aveva mai appoggiato la minoranza cristiana e anzi pubblicamente tendeva a mimetizzarsi. Anche nelle sue casa mancavano i simboli della nostra fede: si guardi attorno, in questa villetta ogni muro è coperto da immagini sacre. In tutte le residenze di Aziz, invece, ho visto soltanto un- quadro della Madonna e neanche un crocifisso». Nell'ultima delle sue feste, per il capodanno scorso, Tarek aveva dato fondo alla sua cantina (è un forte bevitore, possedeva una straordinaria collezione di vini e liquoril, aveva ingaggiato cinque danzatrici del ventre e ad un certo punto della serata si era perfino esibito nella danza araba assieme con loro: «Fu una festa scatenata ma piuttosto triste, Tarek si sforzava di essere allegro eppure era chiaro che temeva qualcosa, non si capiva ancora se da parte dell'America o da quella del regime, dal momento che da allora sua moglie si fece particolarmente parca col danaro, direi quasi tirchia. E poi, a tre settimane dall'attacco americano, il messaggio rivolto all'intero clan: "Scomparite tutti"».