Un'India da cartolina per la povera Lakmé di Sandro Cappelletto

Un'India da cartolina per la povera Lakmé ATEATRO MASSIMO DI PALERMO L'OPERA DI DELIBES Un'India da cartolina per la povera Lakmé Sandro Cappelletto PALERMO Una volta almeno nella vita, non fosse altro, come dice Leporello, per il «piacer di porla in lista», bisogna incontrare la «Lakmé» del compositore francese Leo Delibes. In scena fino al 29 aprile al Teatro Massimo, opera esotica e insieme operetta sarcastica, è un luogo di culto dei soprani più furoreg^ianti di sovracuti per la famosa «aria dei campanelli», ma anche un esempio perfetto di teatro musicale lieve che non vuole pensieri, al passo dei tempi (i suoi, a fine Ottocento), capace di far ridere i francesi mettendo in ridicolo l'imperialismo inglese e di conquistare ampia notorietà internazionale. Lo scrittore Pierre Loti, un cui racconto ispira il libretto, aveva scelto come scenario Tahiti. Ma nell'isola del Pacifico non era ancora arrivato nemmeno Paul Gauguin e dunque i disinvolti librettisti di Delibes, autore anche per .a musica del balletto «Coppella», preferiscono l'India per ambientare una vicenda che all'amore di due giovani, lei figlia di un bramino, lui ufficiale di Sua Maestà britannica, contrappone il muro rappresentato da religioni, culture, abitudini inconcilabili. Siamo nei dintorni di Butterfly e Pinkerton, e anche Lakmé sarà infine suicida per amore impossibile, mentre Gerald troverà consolazione nell'esercito e, come suggrisce il regista Amaud Bernard, nella quiete di un più prevedibile matrimonio con una connazionale. Sul tipico plot melodrammatico, Delibes innesta alcune riuscite figure di secondo piano, vere e proprie caricature dell'inglese esploratore e tradizionalista che va a caccia nella giungla e trova molto pittoreschi i costumi nativi. L'India di Delibes è più che mai da cartolina, da serpente che esce dalla cesta al suono del piffero, e lo spettacolo di Bernard, con le scene e i ecstumi di William Orlandi, sposa in pieno una visione da dépliant di viaggi stampato prima della nascita di Nouvelles Frontières e del trekking. Molto divertente l'ingresso della pattuglia dei turisti, in improbabile fuoristrada d'epoca e con tigre uccisa esposta come trofeo sul tettuccio. D'altra parte la musica non consente molto di diverso e mostra i suoi limiti nel lungo duetto finale che precede la morte di lei, non sostenuto da un'adeguata invenzione armonica e drammatica. Prima dell'epilogo mediocre, Delibes cala le carte ài un'orchestrazioe elegante, di un'impaginazione teatrale avvincente, con molti episodi vocali capaci di unire la forza alla grazia. Particolarmente attesa era la prova del soprano Desirèe Rancatore, ventisei anni, palermitana, al debutto nel ruolo-icona caro oggi a Nathalie Dessay e che è stato di Lily Pons, Jean Sutherland, Mady Mesplé, anche della Calias, e di Mado Robin, il funambolico «usignolo della Loira» capace di arrivare al si sovracuto: un po' più in alto del K2. La ragazza, salutata da ovazioni tonanti, non possiede soltanto doti di agilità: si apprezza perfino di più l'eleganza del fraseggio, la pulizia dell' emissione, la capacità di filare le note. È una cantante, non una chicchirichì e lo ha dimostrato nel secondo e terzo atto quando si è ripresa dalla legnosa svagatezza, da postumi del pranzo pasquale uniti all'ansia da debutto, che ha contagiato tutti all'inizio. Il tenore Massimo Giordano è giovane, bello (occhio però a non fare il pesce lesso), ha voce elegante e piacevole, stile e una certa potenza. Nel cast spicca per simpatia Milena Storti, nel ruolo di Missis Bentson, la governante. Alfredo Zanazzo è Nilakantha, il bramino padre di Lakmé, Annie Vavrile la serva Mallika. Il direttore Karl Martin ha concertato con attenzione.

Luoghi citati: India, Palermo