MONICELLI Troppe famiglie nel cinema italiano

MONICELLI Troppe famiglie nel cinema italiano MONICELLI Troppe famiglie nel cinema italiano intervista ROMA LO ha detto anche il presidente Ciampi, ai David di Donatello: la famiglia italiana è il tema centrale di molti film di quest'ultimo periodo. Non solo «Ricordati di me» di Gabriele Muccino e «La finestra di fronte» di Ferzan Ozpetek, i due che più hanno interessato il pubblico e la critica, hanno entrambi, al centro, il racconto di una famiglia, ma della famiglia si parla anche, sia pure in chiave psicologica, in «La felicità non costa niente» di Mimmo Calopresti con Francesca Neri, in maniera buffa in «Dillo con parole mie» di Daniele Luchetti con Stefania Montorsi, secondo stereotipi vecchio stile nell'ultimo dei fratelli Vanzina «Il pranzo della domenica». Perfino ne «Il cuore altrove» di Avati con Neri Marcorè c'è una famiglia, anche se una famiglia dell'epoca fascista. E di famiglia parlavano molti film della scorsa stagione: «La stanza del figlio» di Nanni Moretti, «Casomai» di D'Alatri, «Il più bel giorno, della mia vita» di Cristina Comenicini, tanto per citare i più noti. Non è un «filone», perché toni e accenti sono diversi così come diversi sono gli autori di questi film. Ma certo c'è nel cinema italiano la voglia di una riflessione collettiva intorno a quello che viene definito il primo nucleo della società: per difenderlo, per accusarlo, per descriverlo, per prenderlo in giro, per rimpiangerlo. Mario Monicelli, uno dei più vecchi e più grandi tra i nostri autori, regista di molte commedie viste e riviste in tv tra cui anche la famosa «Parenti serpenti», ma anche gran frequentatore di convegni e osservatore attento di come vanno le cose nel cinema, guarda con molte riserve a questo fenomeno. E lo spiega con l'asciutezza e la lucidità.che gli è propria. Che cos'è che non la convince, Monicelli, in questo gran numero di film sulla famiglia che sono arrivati sugli schermi? «Per la nostra industria che è sempre tanto fragile va benissimo. Girare film che piacciono alla gente è una fortuna e un vantaggio. Specialmente se sono girati con abilità, interpretati da bravi attori, sorretti da buone sceneggiature». Allora? «La questione è un'altra. Non mi piace che tanti giovani autori invece di affrontare il mondo e le questioni che il mondo ci pone, si nascondano dentro un nucleo chiuso come la famiglia. Ma come? C'è la globalizzazione economica, c'è il terrorismo intema- zinnale, ci sono guerre grandi e piccole, si pongono agli uomini questioni epocali e i nostri giovani autori che fanno? Parlano della famiglia». Anche lei nel suo cinema, a volte, ha parlato della famiglia. «Una volta sola. Con "Parenti serpenti", un film che stette nelle sale tre o quattro giorni per colpa degli esercenti e che il pubblico ha conosciuto dopo, grazie alla tv e alle cassette». Si, ma una volta l'ha fatto, vero? «L'ho fatto dodici anni fa, dopo un delitto terribile, quello di Pietro Maso che aveva sterminato i suoi per impossessarsi del loro denaro. Era uno dei primi crimini di quel genere e, anche se in forma grottesca, volevo raccontare come la famiglia fosse diventata un covo di veleni e rancori. Certo, nel mio film si ride, ma finisce con l'esplosione della casa». Mica tutte le famiglie devono saltare in aria. «No. Ma non neanche vero che i rancori, le fratture, i disamori, le delusioni alla fine si ricompongano sempre. Cos'è questo buonismo ad ogni costo? Quando una famiglia è rotta è rotta. Non si rimette a posto un bel niente. 0 il disagio si tiene nascosto come accadeva un tempo, oppure quando il disagio esplode se ne prende atto e i legami si sciolgono». Sarà la nostalgia per una istituzione in difficoltà a spingere i nostri autori verso la famiglia? «Mah. Intanto la famiglia è un buon terreno per ogni genere di film: tragici, comici, melodram¬ matici, sentimentali. E poi sì, può anche darsi, che molti giovani autori, figli di famiglie fatte al massimo di due-tre persone, sognino la famiglia allargata di un tempo quella coi cugini, i cognati, i nonni, le zie. Soprattutto se sono maschi. Le femmine più avventurose, infatti, vanno via di casa prima. I maschi no, restano. Sono vili». Tra «Ricordati di me» e «La finestra di fronte» quale film ha amato dì più? «I film di Muccino fanno bene al cinema italiano perché piacciono al pubblico ripristinando una fiducia incrinata da vent'anni. Ma il film di Ozpetek vola più alto, nonostante alla fine nessuno spezzi alcun legame. Ma rompiamoli, 'sti legami!» Sempre sarcastico, Monicelli? «Sono realista. È da moltissimi anni che la famiglia non funziona più. I ragazzini lo sanno e hanno sostituito la famiglia con il gruppo. Vivono in tribù: mangiano le stesse cose, sentono la stessa musica, mettono gli stessi vestiti, usano gli stessi cellulari. E in questo modo crescono». Abitano con i genitori, comunque. «Ma non comunicano con loro. I genitori non proibiscono e i figli non fanno cose proibite: per questo la conflittualità è bassa. È in questo universo che si dovrebbe indagare. Tra quelli che oggi nel mondo scendono in piazza e marciano per la pace, contro lo sfruttamenti,, contro l'imperialismo, per le eguaglianze. L'80 per cento di quelli che marciano sono giovanissimi. Vorrei che i registi italiani si occupassero di questi fermenti che possono portarci verso una epoca ferocissima oppure lieta». Non sapranno forse come raccontare al cinema questi fermenti in movimento? «Male. Sono vili. Non osano. Il cinema è un mezzo di espressione: va usato. Magari sbagliando, ma occorre provarci. Non si deve sfuggire alle grandi questioni». ÉìiiZL Gli autori più giovani "" sono vili, non osano Invece di affrontare il mondo e i suoi problemi si nascondono dentro un nucleo chiuso Sfuggono le grandi questioni 99 99 «Ricordati di me». Monicelli: «I film di Muccino fanno bene al cinema italiano perché ripristinano una fiducia incrinata da anni»

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