Woody e gli altri, cogli la Grande Mela

Woody e gli altri, cogli la Grande Mela PER I SUOI 35 ANNI IL «NEW YORK MAGAZINE» COMPILA UN ELENCO AGRODOLCE DE1100 PERSONAGGI CHE HANNO CAMBIATO LA CITTÀ Woody e gli altri, cogli la Grande Mela Dopo M1 settembre torna la voglia di prendersi in giro Jacopo lacoboni C' È Osama bin Laden, non c'è il jazzista Bill Evans. C'è il sindaco-magnate Michael Blooraberg, non c'è il magnate Rockefeller. C'è la signora dei giornali Tina Brown, non c'è «nonna» Lilian Ross. C'è comprensibilmente Madonna, ma hanho lasciato a casa Simon 8- Garfunkel... C'è, soprattutto, una fantastica dose di strafottenza nel gioco proposto dal New York Magazine. Titolo, «Cento personaggi che hanno cambiato New York». Una delle riviste eoo! della NY postmoderna celebra i 35 anni scrivendo una lista degli uomini che «hanno mutato il volto della nostra città». Vi compaiono politici, attori, cantanti, registi, imprenditori, giornalisti, terroristi, mafiosi, «categorie merceologiche» che hanno fatto fortuna e sfortuna della città, autentiche «gangs» composte di tipi umani che si possono ricostruire a partire dall'identikit che ne fornisce la rivista. A ogni nome, infatti, JVew York Magazine abbina rapida definizione, due-tre righe, ima frasetta tipo «spiegazione della nomination»: non serve tanto a capire le ragioni di un'inclusione quanto a prendere per i fondelli il nominato. . Chi è «il comico, regista, modello di comportamento chic»? Ovvio: Woody Alien. Poi se linkate sulla foto vi apparirà che quest'uomo ha cambiato NY naturalmente con Io e Annie, «innaturalmente» con la sua relazione con Soon Yi. E giù il titolo del magazine di agosto 1992: «Tutto quello che avreste voluto sapere su Woody e Mia (ma non avete mai osato chiedere)». Chi è il «finanziere, sindaco, che con la sua radio ha rivoluzionato il modo di guardare al mercato azionario»? Ma certo che è Michael Bloombérg, il magnate repubblicano che ha battuto alle ultime elezioni il democratico Mark Green. Il conflitto d'interessi non preoccupa molto la rivista, New York Magazine ha un'altra obiezione: «Tutto bene con lui, ma come la mettiamo con i suoi atti sul fumo in pubblico?». E chi è «il direttore il cui New Yorker non sembra così male»? Sì che è Tina Brown, poi basta andare sul pezzo allegato e si legge titolo furbetto, «Sognando Tina», su un pezzo scritto da giornalista maschio il quale sobriamente ammette: «Gli anni 90, per un certo tipo di essere umano - e scrittore - di sesso maschile newyorkese sono stati tutto un fantasticare su potenti editrici femminili». Lei, e Alma Win- tour, «hanno diviso il fremito di questo potere». Foste Tina sareste lusingate o arrabbiate? New York Magazine, effettivamente, si diverte. Mario Cuomo, professione «governatore», è «il nostro Amleto», ma «almeno i suoi discorsi sono avvincenti»; Robert De Niro, «attore e investitore di Tribeca, icona di NY», è diventato «da ragazzo di bottega un gran signore»; David Byrne, storico leader dei Talking Heads, viene presen- tato con sintetica definizione «il secchione come eroe»; di Don De Lillo si legge «da Great Jones Street a Underworld, sempre alzando la posta», e non si sa bene se è detto come complimento o denuncia di una città incline alla megalomania; del mafioso John Gotti si riporta celebre e autocelebrativa frase, «sono nato per piacere al mio pubblico» (con tanto di gioco di parole sul proprio cognome, «I got to look goodfor...»). Con i tipi alla Calvin Klein New York Magazine è feroce in due parole. Il celebre creativo viene presentato come «stilista e interlocutore di Latrell Sprewell». ^ Chi diamine è Latrell Sprewell? È un campione della squadra di basket locale, i New York Knickerbockers. E qui la rivista gioca con un fatterello accaduto di recente: durante un time out di una partita dei «Knicks» al Madison Square Garden, lo stilista si alza e si dirige verso Sprewell. Grande agitazione delle guardie del corpo, grande sorpresa del cestista, spiegazione finale dello stilista; «Volevo dirgli qualcosa sulla partita». Da allora, sulla presentazione di Calvin Klein starà scritto «stilista e interlocutore di Latrell Sprewell». Non molto meglio va al suo collega Ralph Lauren, ucciso col silenziatore: «designer» che sì, «le sue polo sono belline e tutto quello che volete, ma qualcuno ha ucciso la Settima Avenue, e si potrebbe a buon diritto accusare lui». Se si scherza su Woody Alien, figuratevi su Spike Lee (ha fatto sì «vedere un'altra New York», però viene anche presentato come «regista e compratore di sneakers») o su Annie Leibovitz («fotografa. Una celebrità, anzi, di più, anzi, meglio ancora»). Patti Smith («rocker,, poetessa, bohème elettrica perun'èrapost Burroughs»). E Madonna? «Megastar e grande dissacratrice» (ma teose potrebbe anche significare «seccatrice»), non passerà alla storia cittadina per aver «materializzato» l'icona di Marilyn: piuttosto per aver «trascmato in alto con sé lo stile gay underground newyorkese». Parole agrodolci anche per Martin Scorsese, David Letterman, Robert Mapplethorpe, Jay Mclnemey, Rupert Murdoch, George Soros («Finanziere, Filantropo»), Donald Trump («figlio fortunato, costruttore, editore, Trump qui Trump là»), Andy Warhol: facce di una NY che toma a prendersi in giro a dispetto dell' 11 settembre e di tutto quel che è seguito, e sa che, come mio dei tanti newyorkesi che l'hanno cambiata, il povero Amadou Diallo, «vittima della violenza di strada», «a volte qui ti fanno fuori in un momento». (NON SOLO) DISSACRATRICEI VI * T Madonna, «megastar e grande dissacratrice» (ma tease potrebbe anche significare «seccatrice»), passerà alla storia cittadina per aver «trascinato in alto con sé lo stile gay underground newyorkese» I KILLER DELLA 7a AVENUE Lo stilista Ralph Laureo: «le sue polo sono belline e tutto quello che volete, ma qualcuno ha ucciso la Settima Avenue, e si potrebbe a buon diritto accusare lui» MODELLO CHIC Woody Alien, caratterizzato dal New York Magazine come «il comico, regista, modello di comportamento chic» che ha cambiato NY naturalmente con /o e Annie e «innaturalmente» con la sua relazione con Soon Yi POTÉRE EDITORIALE - Tina Brown, definita come «il direttore il cui New Yorker non sembra così male». Con Anna Wintour «ha diviso il fremito» del potere editoriale al femminile che secondo alcuni avrebbe caratterizzato gli Anni 90

Luoghi citati: New York