«Perché ho combattuto una battaglia già persa»

«Perché ho combattuto una battaglia già persa» FEDELISSIMI O DISILLUSI: GLI UFFICIALI SCONFITTI RIEVOCANO LA LORO GUERRA «Perché ho combattuto una battaglia già persa» Hanno visto i loro uomini disertare o finire massacrati. C'è chi ha sperato nella vittoria e chi ha resistito soltanto «per il Paese» reportage Robert Belleret BAGHDAD ALL'IMPROVVISO nella stanza si sente solo il tintinnare dei cucchiaini nei bicchieri di tè. Hussein, 35 anni, ex comandante di fanteria, dopo un'ora di imbarazzate attestazioni di «fedeltà» al Raiss caduto esce allo scoperto: «Sono sicuro che si nasconda nel Nord e che riapparirà presto. Bisogna organizzare la resistenza per prepararne il ritomo». Suo cugino Hamid è sbalordito e indignato e così la decina di membri della loro tribù riuniti nella villa di Dora, un quartiere residenziale di Baghdad: «Parli così - sbotta perché hai tratto vantàggio dal regime. Hai una casa, un'auto, denaro, mentre io, a 38 anni, vivo ancora a casa dei miei». Hamid è laureato in Economia e titolare di una piccola ditta di trasporti: «Rifiuti di guardare in faccia la realtà, Hussein conclude - ma abbiamo voltato pagina. Ed è tanto di guadagnato». In effetti Hussein, che indossa di nuovo la sua uniforme con quattro stellette - la stessa della foto incorniciata esposta in bella mostra su una credenza - e ha lo sguardo arrogante del capo che era fino a dieci giorni fa, non ha ancora compreso. E' stato tutto così improvviso e doloroso. Entrato in Accademia militare a 18 anni, Hussein ne è uscito con il grado di sottotenente e ha girato le caserme di almeno sei città, da Bassora a Mosul, per seguire l'addestramento delle reclute. E'stato al fronte solo alla fine della guerra contro l'Iran e* non ha partecipato all'invasione del Kuwait nel 1990. Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, ha subito solo i bombardamenti di Tikrit, il feudo di Saddam Hussein, dove era di stanza. L'intervento anglostatunitense era il suo battesimo del fuoco. Al comando di una compagnia teneva l'ultima linea della difesa di Baghdad, nei sobborghi Nord-Est. «Ben prima dell'inizio dell'invasione - dice - ero sicuro che sarebbe scoppiata la guerra perché gli americani volevano a tutti i costi il nostro petrolio, ma ero anche certo che sarebbe durata a lungo. All'inizio le notizie dal Sud erano incoraggianti: la resistenza di Bassora mi aveva riempito di fierezza e speranza». Poi, captando le trasmissioni radio dall' estero, i suoi fanti hanno cominciato a capire che l'avanzata alleata era inarrestabile. «Nonostante i bombardamenti ero convinto che il nostro presidente avesse in serbo un'arma segreta, ma il morale delle truppe è crollato». Dal 5 aprile il comandante Hussein ha assistito impotente alla diserzione dei suoi soldati, tliìo dopo l'altro. «Non eravamo in una caserma, ma disseminati in una serie di casematte e di trincee lungo la strada. Approfittavano della notte per mettersi in borghesie scappare». Quan- do gli ufficiali non sono più apparsi in tv il comandante ha capito che «era finita». «Dei 120 uomini della mia compagnia - racconta - non ne restavano che una decina. Quando sono arrivati i carri armati, il 9 aprile, abbiamo aperto il fuoco ma non c'era nulla da fare: il divario di forze era troppo grande. Gli americani avanzavano sparando su tutto ciò che si muoveva. Due dei miei uomini sono stati uccisi, altri due feriti. Mi sono ritirato». Il comandante che si dice «sempre pronto a morire per Saddam» aveva prudentemente nascosto nei paraggi la sua vecchia Plymouth bianca e gli abiti civili. Nel quartiere Al-Amin l'ex capitano Salim, 28 anni, vive in una villa più modesta di quella dell'ex comandante Hussein; parcheggiata davanti a casa ha una Passat rossa carica d'anni. E le differenze fra i due ufficiali non finiscono qui. «Non avevo affatto la vocazione militare ma mio nonno e mio padre erano alti ufficiali e mi hanno praticamente costretto a fare l'Accademia - spiega -. Far parte della Guardia Repubblicana non è stata una mia scelta: è considerata un'unità d'elite ma avevo ai miei ordini molti ragazzi di 18 anni, assai poco agguerriti». Senza illusioni sulle sorti del conflitto dopo che «la potentissima armata americana» s'era messa in marcia, il giovane ufficiale non è stato per questo meno pronto a compiere 0 suo dovere: «Fino in fondo. Per il mio Paese, non certo per Saddam», che dice di aver sempre considerato un tiranno. «Da tempo gli iracheni disprezzavano i militari e i poliziotti, che considerano i valletti del regime», confessa con amarezza questa Guardia Repubblicana controvoglia, che definisce l'esercito «fatiscente». «Da dieci anni l'equipaggiamento non veniva ammodernato e noi avevamo sempre gli stessi missili obsoleti. Gli americani erano gli unici a poter far finta di credere che disponessimo di armi di distruzione di massa». Quando gli alleati sono arrivati in vista di Baghdad l'unità del capitano Selim era di postazione ad Al-Suwaira, 6o chilometri a Sud-Est della capitale, ma cambiava spesso accampamento. «Durante uno di questi trasferimenti il convoglio di camion, scortato da alcuni mezzi blindati, è stato preso di mira dall'aviazione statunitense. Ci siamo trovati sotto un diluvio di fuoco e il 90 per cento dei veicoli sono stati disintegrati nel giro di pochi secondi. La maggior parte dei miei uomini è stata massacrata prima che potessimo tirare un solo colpo», racconta turbato. Lui deve la salvezza alla presenza di spirito dell'autista del suo camion che, con una sterzata, è riuscito a fuggire alla volta di Baghdad. E'« con la morte nell'anima» ma «completamente impotente» che il capitano Selim ha assistito alla capitolazione della città. Dici " vivere «dolorosamente» l'occupazione americana ma di Aon provare alcun rimpianto per il tramonto di un regime «maledetto». . Copyright Le Monde Un soldato americano a Baghdad Hussein, ex comandante di fanteria, non riesce ancora a credere alla fine del regime . «Sono sicuro che Saddam si nasconda nel Nord e che riapparirà presto Bisogna organizzare la resistenza per prepararne il ritorno» Giovani Iracheni In una piazza di Baghdad dove danno vita a un fiorente traffico di armi sfuggendo al controllo dei marines

Persone citate: Quan, Robert Belleret, Saddam Hussein