Le camelie: così felici d'essere abbandonate di Paolo Pejrone

Le camelie: così felici d'essere abbandonate Le camelie: così felici d'essere abbandonate NEL mio giardino le camelie sono tra le piante più facili. Non richiedono nessuna cura. Basterebbe guardarne un grandissimo (ed amatissimo) arbusto che sta da anni (quasi trenta!) in un angolo abbandonato: cresce felice e fiorisce tutti gli anni in quantità. I fiori rossi, semplici, vivissimi e allegri sono trasparenti e luminosi e, se taghati e messi in vaso, reggono a lungo, due-tre giorni di più delle altre camelie del giardino. Quelle doppie «durano» lo spazio breve di un mattino. Ricordo benissimo quando piantai la prima camelia, timida-timida, nell'orto-giardino della mia gioventù; uno spazio dedicato alle mie prime prove e soprattutto a certe ardite sperimentazioni giardiniere. Era il periodo in cui, preso dalle più romantiche ed ingenue utopie del neofita, volevo coltivare un giardino senza coltivarlo. Coltivare un giardino facile e semplice, talmente ben organizzato ed autosufficiente (e possibilmente bello!) da non aver bisogno di cure, se non all'inizio «delle varie acclimatazioni», dopo una specie di stagionale svezzamento. Furono anni di piccole e domestiche stragi «arboree» e di affannosi ricuperi. Furono anni di prove e riproposte. Fu una bellissima, entusiasmante e impossibile impresa: il giardino senza pulizie, potature, fienagioni e sarchiature non può resistere a lungo. Se le camelie sono felici ed appagate dal posto assegnato, vanno avanti da sole proprio come certi orologi svizzeri che non si fermano mai. Potrebbero esser tra le pochissime piante da fiore, insieme alle ortensie, alle peonie arboree e alle magnolie ad amare di più l'abbandono e la trascuratezza delle cure. Di tutte le camelie, quelle che apprezzo di più, sono quelle a fiore piccolo e semplice, come ((Alba simplex». Alcune eccezioni a grandi fiori complessi e coloratissimi completerebbero l'ampio quadro delle mie preferite: le «Williamsii», come «Donation», alcune a fiore semidoppio, come «Magnoliflora», le bellissime «Maliflora», la scura e affascinante «Black lace» (così apprezzata a Tor San Lorenzo da Lavinia Tavema!). Delle antiche ce ne sono due che amo moltissimo ma che non ho mai visto nei giardini italiani, sono portoghesi: «Erzilia Freitas de Magalaes» e ((Augusto Léal de Gouveia-Pinto», dai fiori rosa scuro che, con la maturità, diventano viola-chiaro-ardesia. Colore rarissimo nei giardini. Ritrovabile in certi lillà ottocenteschi, come il poco comune «Cavour». A proposito dei lillà, non dimentichiamoli! Sono anche loro piante da abbandonare in giardini abbandonati. Lasciati tranquilli e non curati sono di anno in anno più belli e generosi! Non richiedono nessuna cura: se felici del posto assegnato vanno avanti da sole come certi orologi svizzeri Paolo Pejrone

Persone citate: Gouveia