Tra sacrestia e deserto tutte le metamorfosi di Pran di Alessandro Monti

Tra sacrestia e deserto tutte le metamorfosi di Pran Tra sacrestia e deserto tutte le metamorfosi di Pran RECENSIONE Alessandro Monti O stupefacente L'imitatore, opera prima di Hari Kunzru, nato a Londra nel La. 1968 da padre indiano e madre inglese, è narrazione, a tratti esilarante, del picaresco trasformismo di un sangue misto imperiale, le cui semitragiche vicende vanno dall'India all'Inghilterra, dalla Francia all'Africa. Frutto dell'alluvionato incontro tra un inglese e un'indiana, troviamo il giovane Pran Nath ad Agra nel 1918, precoce molestatore di servette. Il padre putativo, un induista ultraortodosso, muore e il figlio inquietante viene cacciato di casa dai parenti. Mendico, trova rifugio in una casa di piacere, dove 10 drogano e lo vendono come «hija», senza tuttavia mutilarlo. 11 termine può indicare sia l'eunuco sia il travestito o il transessuale. Figura emblematica antica e contemporanea, legata al mito di Rama e alla trascorsa vita di corte, di cattivo augurio e presunto castratore di bimbi rapiti, emblema del mosaico indiano nel romanzo Delhi di Khushwant Singh, lo «hija», né uomo né donna ma tutti e due insieme, incarna l'identità ambigua di Pran, sospeso tra il mondo indiano e il suo sangue inglese, senza appartenere a nessuno dei due. Capitato alla corte del signore musulmano di Fathepur il giovane, usato come esca sessuale per ricattare il residente britannico, si trova invischiato in un crescendo irresistibile di intrighi per la successione, tra inglesi grotteschi alcolizzati e sodomiti, le loro consorti cleptomani o virago mascoline, nababbi prima impotenti e poi mandrilli assatanati, sullo sfondo di cosmopolite orge che aggiornano in termini di decadentismo occidentale l'immagine tradizionale di un Oriente lascivo. Pran fugge durante una sublime battuta di caccia a tigri drogate, con i cacciatori drasticamente purgati, e non è affatto una metafora, che si sparano a vicenda, con al centro il sovrano nudo in preda a frenesia erotica con la moglie, nuda, dell'ospite d'onore inglese. Il tutto avviene in concomitanza dell'atroce massacro commesso dagli inglesi ad Amristar: la storia diventa farsa prima di rivelarsi tragedia e il volto sconciato dell'impero si imbelletta di sangue, dopo essersi lordato di sterco. Ad Amristar, desolata dagli scontri, si rifugia Pran e da qui, scambiato per un inglese, rag- giunge Bombay, dove è adottato da una coppia male assortita di missionari scozzesi. Il giovane prospera tra sacrestia e bordello, perfezionando la propria identità mimetica d'inglese tra misurazioni antropologiche di teste, sedute spiritico-teosofiche e piccole attività ruffianesche. La sua figura ormai camaleontica diventa tuttavia di sfondo rispetto a una specie di micro-romanzo del missionario, tra macerato imperio dei sensi e frammenti post-vittoriani tipo cronache dal presbiterio. Pran assume infine l'identità di un piantatore alcolizzato, beneficiario di un'eredità in Inghilterra e qui siamo a Dickens. Prende così il nome emblematico di Bridgeman, o «uomoponte», con il ricordo probabile dei «ricevimenti-ponte» che in Passaggio in India dovrebbero favorire l'incontro tra indiani e inglesi. In Inghilterra lo spaesato giovane da camaleonte diventa spugna che assorbe modi di dire, inflessioni, comportamenti, nei gironi infernali di assurdi collegi e università. E' urta sfilata di futuri quadri coloniali sodomiti, di rozzi atleti fascisti e di vacui esteti. Si menzionano, fra tanto orrore, l'ambiguo preside che amoreggia con le orchidee esotiche, pensiamo al giardiniere suburbanò che in un racconto di H.G. Wells s'imbatte in un'orchidea carnivora: qui il mostro è invece l'uomo, oppure l'antropologo africanista, con i ripetuti attacchi di ossessività maniaco-rituale, e la di lui figlia, di cui s'innamora Pran, sfuggevole «allumeuse» mondanamente anticonformista. Il giovane parte per una disastrosa spedizione africana nella terra dei Fotse, in una sequenza che mescola con esito spassoso Conrad riletto da Evelyn Waugh, il Conan Doyle di II mondo perduto e le più dissacranti utopie vittoriane nella descrizione della cultura tribale. Finisce che i Fotse sbudellano i membri della spedizione, rispar- miando ed esorcizzando Pran dalla propria «blanchitude». Vediamo per l'ultima volta Pran viaggiare nel deserto, incarnazione postcoloniale dell'ebreo errante. Tuttavia, il vero trasformista è l'autore stesso, con la sua rilettura dissacrante del picaresco Kim, dato che ilmeticciato eroe assiste da contabile e non da protagonista al «grande gioco» della storia, come indica la metafora della sua defilata partecipazione al gioco del cricket. D'altra parte il romanzo elabora un'osservazione di Kipling, secondo la quale si dovrà pure un giorno raccontare l'inferno in cui vivono i «mezza casta», gli.«halfcaste» meticciati del discorso coloniale. Ecco fatto, e buon viaggio negli orrori dell'ibridismo. Davvero eccellente la traduzione di Susanna Basso, con due sviste: «hills» nel gergo inglese in India non sono le colline ma l'Himalaya, mentre «bearers», etimologia incerta, non indica i portatori ma i camerieri personali. Anche oscillazioni nell'attribuire il genere ai vocaboli indiani: mi sarebbe piaciuto un ipertesto con glosse lessicali, ma a ciascuno le proprie scelte. LO STUPEFACENTE «IMITATORE» DI HARI KUNZRU RACCONTA IL PICARESCO TRASFORMISMO DI UN SANGUEMISTO IMPERIALE DALL' INDIA ALL' INGHILTERRA, DALLA FRANCIA ALL'AFRICA Hari Kunzru L'imitatore traduzione di Susanna Basso, Einaudi, pp. 413,S 18,50. ROMANZO 1, »