Un pallido fuoco nel paese delle meraviglie di Nabokov

Un pallido fuoco nel paese delle meraviglie di Nabokov Un pallido fuoco nel paese delle meraviglie di Nabokov RECENSIONE Massimo Romano UNA scatola magica, una gemma di Fabergé, un giocattolo a orologeria, un problema di scacchi, una macchina infernale, una trappola per i critici, un gioco del gatto col topo, un corredo di attrezzi per fare tutto da soli». Così Mary McCarthy ha definito quello che si può considerare uno dei grandi romanzi postmoderni del Novecento, Fuoco pallido di Nabokov. Pubblicato in inglese nel 1962 e tradotto in italiano da Bruno Oddera nei Quaderni mondadoriani della Medusa nel 1965, viene ora riproposto da Adelphi in una nuova e accurata traduzione di Franca Pece e Anna Raffetto, come dodicesimo titolo dello scrittore russo, in passato conosciuto quasi soltanto per il bestseller Lolita. I suoi romanzi sono specchi in cui la tradizione romanzesca occidentale gioca con la modernità attraverso un labirinto di piste e livelli narrativi. J^oco pallido presenta una struttura a scatole cinesi divisa in quattro sezioni: una prefazione, un poema di 9S9 versi, un lungo commento e un indice finale. Il titolo, tratto da un verso del Timone d'Atene di Shakespeare (atto IV, scena III), «ladra di notte è la luna che sottrae al sole un pallido fuoco», allude al prisma di riflessi generato dalla struttura narrativa. A New Wye, cittadina americana sui monti appalachiani, vive John Shade, «poeta schivo e appartato» impegnato nella stesura dì un poema in distici eroici, la stessa metrica usata dal suo autore prediletto, Alexander Pope. L'opera è una sorta di autobiografia in forma lirica scritta in tre settimane, nel luglio 1959. Charles Kimbote, suo amico e vicino di casa e come lui docente universitario, lo spia con il binocolo mentre scrive o legge le sue schede a Sybil, moglie adorante che lo protegge dagli importuni. Talvolta fa passeggiate e gioca a scacchi con lui. I quattro quinti del romanzo sono dedicati al commento straripàinté di'Kimbote, che racconta una storia digressiva rispetto al poema, l'avventura del re Carlo II di Zembla, «remota contrada nordica», luogo della memoria e della nostalgia, diventato in seguito crogiolo di intrighi e corruzioni. La terra di Zembla, che deriva dal termine russo zemlja (terra), citata nel Saggio sull'uomo di Pope, è anche un gruppo di isole nell'Oceano Artico, a Nord di Arcangelo. Il re, attraverso un passaggio segreto nascosto dietro un armadio di giocattoli, fugge dal palazzo e si avventura in un viaggio che lo porterà fuori dai confini del regno. A un certo punto del commento Kinbote rivela di essere lui il re fuggiasco, costretto dalla rivoluzione all'esilio e all'anonimato di una cattedra universitaria negli Stati Uniti. Poi entra in scena un altro personaggio, Jacob Gradus, un sicario inviato in America per assassinare il re in esilio. Ma nel giardino che separa le due case Shade si trova per caso sulla traiettoria del proiettile e viene ucciso al posto di Kinliote. Nabokov gioca con il lettore, infarcisce il romanzo di citazioni e rinvìi intertestuali a Shakespeare e Pope, Goethe e Puskin, Joyce e Proust, Lermontov e Cechov. E soprattutto mostra una predilezione per il «golf delle parole», fondato sul metagramma, gioco enigmistico inventato nel 1879 da Lewis Carroll, di cui non a caso è stato il primo traduttore russo di Alice nel paese delle meravìglie. Il metagramma consiste nel trovare due o più parole che differiscono tra loro per una lettera: per un gioco di refusi vengono sostituiti i termini russi korona (corona), verona (cornacchia), korova (vacca), che corrispondono alla serie inglese crown, crow, cow. Del resto, la vita umana, come scrive il ghost writer Nabokov, non è altro che «una serie di note a pie di pagina apposte a un immane oscuro capolavoro incompiuto». V. Nabokov Fuoco pallido Adelphi, pp.321, G 18 ROMANZO

Luoghi citati: America, Artico, Atene, Stati Uniti