Tutti i microcosmi di Milano

Tutti i microcosmi di Milano Tutti i microcosmi di Milano Ricercar vagando: un affresco pluricentrico, le metamorfosi dell'ultimo mezzo secolo raccontate da Foot Li IMPRESSIONE è che ne' gli ultimi tempi gli italiani abbiano sempre meno voglia di conoscersi. Di registrare i mutamenti che avvengono, in superficie e nel profondo del Paese, nell'intrecciarsi di metropoli, grandi e piccole città, località di provincia, territori produttivi e tradizioni culturali. Questo distogliere lo sguardo da ciò che sta più vicino è fenomeno che ha preso corpo da alcuni anni. Ben prima che la globalizzazione e gli incendi attizzati su orizzonti più o meno lontani (del resto dove sta, in questo nuovo secolo, il davvero lontano?) spostassero l'attenzione. E imponessero - sia qui che altrove - invece del racconto dei luoghi e delle genti l'affannato resoconto degli eventi, sempre più sanguinosi e tragici. Con notevoli eccezioni, ovviamente: come ha dimostrato Paolo Rumiz con il suo recente e bellissimo «Oriente» dedicato alle terre che stanno al di là del nostro confine orientale. Per quanto riguarda il Paese che sta dentro la penisola sembrano essersi fatte sempre più distratte le voci capaci di raccontarcelo, di seguirne i mutamenti. Piovane e il suo «Viaggio in Italia», e Giorgio Bocca con i suoi reportage sul miracolo economico, non solo sono distanti svariati decenni. Paiono anche appartenere ad un periodo definitivamente concluso che ha fatto appena in tempo ad includere anche altre voci venute dopo. Negli anni Ottanta e Novanta - per capirci i Gianni Celati e i Sandro Onofri, sul versante narrativo e gli Aldo Bonomi su quello della ricerca sociale. Mentre se ci si spinge oltre, più avanti - con l'eccezione, nel cuore degli anni Novanta, di alcune serie televisive affidate a Enrico Deaglio, a Gad Lerner - si è colpiti dall'assenza di domestici ma sempre rinnovati sguardi. Neppure più rimpiazzati, come accadeva un tempo, dai luoghi comuni e dagli stereotipi incollati alle diverse tessere che costituiscono il puzzle Italia. Tutto sembra essere stato sostituito dall'elusione e dal silenzio. Forse anche dalla disattenzione che, ormai, segue riflessi pigramente pavloviani. Tanto che, sulle pagine dei quotidiani, si prende più spazio quello che accade in una settimana - attorno a qualche metro quadrato di tavoli apparecchiati in un ristorante per Vip vecchi e nuovi accanto al Pantheon - che quanto succede in un anno intero in intere province. Territori dove pure decollano nuove attività. Si muovono genti e destini. E si va a coniugare il vecchio (il locale?) e il nuovo (il globale?) in modi degni di racconto. Milano non fa certo parte di queste aree dimenticate ma, anche per la metropoli lombarda, non abbondano le ricostruzioni, le recenti messe a fuoco di ampio respiro, il racconto ampio e arioso. Va in senso felicemente contrario a queste constatazioni un saggio, pubblicato ora da Feltrinelli, dello studioso inglese John Foot, Milano dopo il miracolo. Biografia di una città. Titolo ancora più efficace dell'originale «Milano since the Miracle. City, Culture and Identity». A fare del libro di Foot una positiva eccezione è il metodo di lavoro che viene applicato per afferrare la Milano dell'ultimo mezzo secolo, quella che dal boom economico e dalla grande ultima ondata dell'immigrazione interna si trasforma. E - attraverso due rivoluzioni produttive - da capitale industriale diventa caposaldo della finanza, della moda, della pubblicità e della comunicazione editoriale e televisiva. Con la libertà che si può permettere solo chi è evaso da troppo rigidi recinti accademici John Foot abbina la ricerca minuziosa delle fonti (dunque i dati, i numeri che quantificano i fenomeni e ne asseverano la filigrana qualitativa) a quella che assomiglia molto ad una pratica sistematica del vagabondaggio metropolitano. Ovvero dell'esercizio dello sguardo che esplora il territorio per impadronirsi di scorci e particolari. E' un avanzare quasi cliccando sulle immagini, delle quali si comprende esaustivamente il significato solo a posteriori, quando si procede ad assemblarle in sempre nuovi insiemi dalle più diverse valenze. Certo, John Foot non è Baudelaùe né Walter Benjamin. Ma ì'insieme degli scorci che confluiscono nel suo testo compongono davvero, come del resto si propone l'autore, delle microstorie: «Il particolare, il quotidiano, il comune sono spesso impiegati per avanzare una spiegazione del generale, dello straordinario, dell'eccezionale. La scala di ricerca viene spesso ridotta a certi insediamenti urbani o quartieri, a storie di vita individuali, famiglie, enti, spezzoni di film, luoghi specifici... Tante microstorie non fanno necessariamente una macrostoria. Ogni microstoria deve essere interpretata, incrociata e messa a confronto..». Ouello che ne risulta è una specie di ipertesto metropolitano dove il territorio può essere attraversato a tema, proprio come se si impiegassero i mezzi di comunicazioni che lo solcano, ne definiscono le sovrapposizioni, le conflittualità, gli snodi e i confini. Attraverso questo «ricercar vagando» la messa a fuoco di Milano da parte di Foot si sottrae ai compiti di una definizione meramente spaziale o cronologica della uietropoli. Milano, dunque, non viene ridotta ad una mappa stesa orizzontalmente e da sottoporre ad una specie di autopsia praticata settore per settore (i quartieri) o organo per organo (i campi produttivi, la cultura, il tempo libero). Al tempo stesso questo modo di lavorare sul tema libera dall'obbligo di rispettare scontate gabbie cronologiche dove finiscono imprigionati, oltre che gli eventi, anche le troppo prevedibili interpretazioni dei fenomeni che, via via, prendono posto nella tessitura del tempo. Ne esce invece una narrazione pluricentrica, proprio come pluricentrico è l'affresco che si propone. Non tanto della città quanto piuttosto dell'immagine della città che evolve attraverso i linguaggi, le mappe mentali, le informazioni e le azioni che definiscono l'esperienza di chi ci vive, ci lavora, ci transita. Insomma ogni città - e Milano non fa certo eccezione - è un pezzetto di mondo. Di quel mondo che, come suggerisce Paul Auster nel suo ultimo libro: «E' un'illusione che ogni giorno bisogna reinventare»; - DA LEGGERE John Foot Milano dopo il miracolo. Biografia di una città traduzione di Eloisa Squirru Feltrinelli, Milano 2003 Alla Milano del secondo '900 è dedicato il saggio di John Foot