Gli sditi in piazza contestano il summit dei «saggi» iracheni

Gli sditi in piazza contestano il summit dei «saggi» iracheni iA RIUNIONE ORGANIZZATA DAGLI USA IN UNA BASE MILITARE VICINO A NASSIRIYA Gli sditi in piazza contestano il summit dei «saggi» iracheni 165 rappresentati di etnìe, tribù e oppositori del regime approvano un documento in tredici punti che prevede uno Stato democratico su base federale. Un corteo scandisce: no ai candidati dell'America reportage Giuseppe Zaccaria Inviato a BAGHDAD LI «ASSEMBLEA dei saggi» - o giudizio di molti iracheni, dei collaborazionisti - s'inizia con quattro ore di ritardo a Zigurrat, una base aerea nei pressi di Ur, a poca distanza di Nassiriya. Sessantacinque persone che rappresentano gruppi, etnie, tribù e partiti in esilio si incontrano in un'atmosfera piuttosto fredda, molta di questa gente si vede per la prima volta, almeno dieci dei dignitari invitati non si sono fatti vedere, altri hanno mandato lì dei delegati e il «Sairi», movimento sciita con base a Teheran, contesta apertamente l'incontro voluto dal Pentagono e annuncia una propria assemblea a Baghdad. L'autorità americana ha circondato questa assemblea di precauzioni, solo pochissime televisioni sono autorizzate a riprenderne qualche momento e poi, per un incontro che si tentava di definire «storico», i lavori si concludono piuttosto rapidamente. Esiste un documento in tredici punti che ipotizza un «Iraq democratico su base federale», fissa un'altra riunione fra dieci giorni, ma per il resto, pur restando forzatamente sul vago, contiene già affermazioni che si contraddicono. Gli Stati Uniti vedono questo incontro come il primo passo verso un futuro di progresso, ma ciò che accade nelle strade di Nassiriya fa temere invece sviluppi di segno diverso. Sono almeno ventimila gli sciiti che nella città vicina contestano l'assemblea prima ancora del suo nascere, e la carica di rabbia con cui lo fanno mette già paura. L'imam Warrah Na- srallah guida un gruppo di studenti che sventolano il Corano, e con fare profetico annuncia: «Le forze popolari e religiose vogliono che l'unica guida del popolo iracheno sia la Hawza di Najaf». La Hawza è la scuola religiosa della città che, assieme con Karbala, rappresenta il luogo più sacro degli sciiti: nel Paese appena conquistato e ancora in cerca di riassestamento, il regno degli americani si apre su annunci di rivolta. «I marines ci hanno liberato da Saddam, adesso possono andarsene - scandiscono gli studenti - se non lo faranno un regime tirannico si sostituirà a un altro». Anche le rare voci dei laici assumono toni allarmanti: «Se gli americani pensano di occuparci noi ci ribelleremo dice il rappresentante degli ingegneri della regione, Ihsan Mohamed - noi siamo contro il confessionalismo, non vogliamo un governo sciita ma invitiamo gli americani a lasciarci liberi di decidere il nostro futuro e a non imporci candidati». Vinta la guerra, la stabilizza- zione e la pace si annunciano già come periodi molto tormentati. La rabbia degli sciiti è un sentimento che dura nel tempo, in Iraq si coltiva senza soluzione di continuità dal '91 (quando i soldati di Bush senior, dopo aver incitato gli iracheni del Sud alla rivolta, li abbandonarono alle rappresaglie di Saddam), e in queste settimane di guerra le bombe cadute sui mercati o nelle zone civili hanno causato vittime senza fare distinzioni religiose, ma provocando più morti fra i seguaci di Ali per un fatto puramente statistico. Era inevitabile. In base a stime generalmente accettate gli sciiti dell'Iraq rappresentano fra il 65 ed il 70 per cento della popolazione doro preferiscono dire più dell'SG per cento), il feroce regime di Saddam Hussein era riuscito a imporre col terrore il governo della minoranza sunnita (25-30 per cento) e quando il terrore cessa di colpo la reazione dei diseredati assume sempre forme violente. Cominciano a notarsi i primi segni di un rivolgimento sognato per decenni, già ieri si accennava a quella sorta di regime confessionale autoproclamato da due imam nella città satellite di Saddam City. Ribattezzato «Sadr City», in questi giorni l'enorme sobborgo s'è trasformato in scheggia iraniana volata alle porte di Baghdad, il controllo delle strade, l'organizzazione dei bisogni, le attività fondamentali per la convivenza, dai rifornimenti idrici alla pulizia delle strade, sono decise dall'autorità di due capi religiosi che approfittando dell' emergenza hanno costituito una teocrazia di fatto. Più a lungo gli spazi di potere resteranno vuoti e più numerose saranno le forze che ne prenderanno possesso, contando poi di difendere gli stati di fatto. Prima che un «governo provvisorio» possa formarsi trascorreranno almeno tre settimane: per quei giorni il panorama politico dell'Iraq potrebbe già essersi trasformato in una matassa inestricabile. Già i tredici punti di questo primo documento destano qual¬ che perplessità. I capi religiosi, i rappresentanti delle etnie (e' erano anche due curdi, però mancavano i turcomanni), i vari esponenti dei partiti in esilio concordano su alcuni punti e sorvolano su molti altri. L'Iraq, dicono, dev'essere una democrazia basata su un sistema federale in cui la legge prevalga su tutto, dove le diversità vengano rispettate ma non si lascino prevalere le etnìe, nel quale i leader non devono essere imposti dall'esterno. Si accetta di collaborare con la coalizione angloamericana per risolvere «urgentemente» i problemi dell'emergenza e della sicurezza. Alcuni passaggi però rivelano come le questioni essenziali siano state eluse, com'era ovvio peraltro in un incontro di questo genere. L'assemblea fa sapere di «aver trattato il problema del ruolo della religione nello Stato», informa che il problema principale del dopoguerra sarà quello di «sciogliere il partito Baath ed eliminare la sua influenza nello Stato» e nello stesso tempo si propone di condannare ogni violenza politica e di eliminare qualsiasi influenza confessionale nella gestione del Paese. Questa carta va presa per ciò che rappresenta, ovvero poco più di un libro dei sogni, altrimenti nei princìpi che sia pure vagamente esprime si potrebbero cogliere i primi segni di una certa dissociazione. Da Najaf il grande ayatollah Al Sistani parla per bocca del figlio Sayyd Mohammed Radi, che trasmette ai fedeli il verbo dell'uomo santo: «L'Iraq deve essere governato dal suo popolo, dai suoi giovani migliori, saranno gli iracheni a decidere e gli iracheni a governare il Paese». L'altro elemento che sembra farsi sempre più importante è l'ostilità del Paese questa volta, senza distinzioni di etnìe, se si fa eccezione per i curdi - verso personaggi imposti dall'occupante e la cui autorità potrà essere messa in discussione in qualsiasi momento. A guerra appena conclusa, in sostanza George W. Bush si trova di fronte al medesimo. enorme problema che suo padre dovette affrontare al termine della Guerra del Golfo. Un Iraq travolto da una teocrazia guidata dagli sciiti del Sud (enormemente più frustrati, aggressivi e dunque pericolosi degli sciiti dell'Iran) sarà con il suo petrolio un Paese più affidabile oppure uno Stato ancora più «canaglia» del precedente? E cosa sarà delle minoranze religiose disperse del Paese? I cristiani di rito siriaco lamentano da tempo nel Nord-Est del Paese l'aggressività turca, che sta limitando sempre più la loro libertà religiosa. Nella stessa area (fra Kirkuk e Mosul) i turcomanni hanno rivendicazioni di segno opposto, lamentano il fatto che Ankara abbia gestito questa crisi trattando con i curdi e non con loro. Quelli che i costruttori di democrazie amano definire «focolai di crisi» si moltiplicano, dunque, e fra l'altro gli analisti politici più realisti non ritengono affatto che un Paese come questo sia maturo per un salto verso il sistema parlamentare avanzato. L'imam della scuola coranica di Najaf brandendo il Corano guida una folla di ventimila persone «I marines ci hanno liberato dal dittatore adesso se ne vadano o a una tirannide se ne sostituirà un'altra» Si accetta, dicono, di collaborare con la coalizione angloamericana ma soltanto nel tentativo di risolvere «urgentemente» i problemi dell'emergenza e della sicurezza La protesta degli sciiti contro la riunionedei gruppi d'opposizione a Saddam organizzata dagli Stati Uniti a Nassiriya

Persone citate: Bush, George W. Bush, Giuseppe Zaccaria, Ihsan Mohamed, Mohammed Radi, Saddam City, Saddam Hussein, Sadr, Sistani