SHARON «Per la pace lascio anche gli insediamenti»

SHARON «Per la pace lascio anche gli insediamenti» ILI FRO ISRAELIANO ESAMINA LA SITUAZIONE DEL SUO PAESE DOPO IL CONFLITTO II SHARON «Per la pace lascio anche gli insediamenti» intervista ÀriShavit GERUSALEMME PRIMO ministroSharon,siamo a un momento storico sorprendente. Intorno a noi la realtà cambia radicalmente. Dal suo punto di vista, la nuova realtà del Medio Oriente dopo la caduta dell'Iraq è promettente o pericolosa? Per Israele, è buona o cattiva? «La leadership irachena era orribile e omicida. Già una ventina d'anni fa aveva realizzato che sarebbe stato impossibile acquistare una bomba islamica, e allora aveva cominciato a fabbricarsela. Pertanto la rimozione dell'Iraq come una minaccia è di assoluto sollievo. Tuttavia, ciò non significa che tutti i problemi che stiamo affrontando siano stati rimossi. L'Iran si sta adoperando per produrre armi di distruzione di massa e si è impegnato a realizzare missili balistici. La Libia sta compiendo un grande sforzo per acquisire armi nucleari. Ciò che sta accadendo in questi Paesi è serio e pericoloso. Anche in Arabia Saudita c'è un regime che concede aiuti alle organizzazioni terroristiche di qui». Sta dicendo che ciò che è accaduto in Iraq deve accadere anche, in un modo o nell'altro, in Iran, Libia e Arabia Saudita? «Sulla questione irachena gli Stati Uniti hanno dimostrato una leadership di altissimo livello, Non credo che sia realistico pensare che, appena conclusa una campagna, ne cominceranno un'altra. Anche una superpotenza ha dei limiti. Quando vinci, in un certo senso ti trovi anche indebohto. Ma ci troviamo di fronte alla possibilità che qui inizi un diverso periodo. La mossa in Iraq ha provocato uno shock nel Medio Oriente e racchiude in sé una potenzialità per grandi cambiamenti. Abbiamo l'opportunità di costruire un diverso rapporto tra noi e gli Stati arabi e tra noi a i palestinesi. Questa occasione non deve essere trascurata. Ho intenzione di esaminare queste situazioni con la massima serietà». Pensa che vi sia la speranza di raggiungere un accordo in un futuro prevedibile? «Dipenderà in primo luogo e principalmente dagli arabi. Un accordo costringe a un diverso tipo di governo: lotta al terrorismo e una serie di riforme. Costringe allo smantellamento di tutte le organizzazioni terroristiche e alla cessazione della loro istigazione. Ma se ci sarà una leadership che capirà queste cose e che le applicherà con serietà, esiste la possibilità di raggiungere un accordo». Considera Abu Mazen un leader con il quale sarà in grado di raggiungere un accordo? ((Abu Mazen capisce che è impossibile vincere Israele con il terrorismo». Un giorno molto vicino il telefono potrebbe squillare e il presidente degli Stati Uniti potrebbe dirle: «Arik, ho rimosso ima minaccia all'esistenza di Israele, sto realizzando una rivoluzione nell'area. Ora è giunto il momento del tuo contributo. Cedi l'insediamento di Netzarim». «Vi sono alcune materie sulle quali saremo pronti a compiere mosse lungimiranti, a fare passi molti dolorosi. Ma c'è una cosa che ho ripetuto diverse volte al presidente Bush: c'è una questione sulla quale non ho mai fatto concessioni in passato e non le farò né ora né mai: tutto ciò che riguarda la sicurezza di Israele. Ho spiegato e chiarito che questa è la responsabilità storica che ho nei confronti del futuro e del destino del popolo ebraico. Saremo noi a decidere che cos'è pericoloso per Israele e che cosa non lo è». E allora cosa mi dice di Netzarim? «Ora non voglio addentrarmi in una discussione su alcun luogo specifico. E' una questione delicata e non è necessario parlarne troppo. Ma se verrà fuori che abbiamo qualcuno con cui parlare e che capisce che la pace non è il terrorismo e neanche la rivolta contro Israele, allora decisamente sosterrò che dovremo compiere passi che sono dolorosi per qualunque ebreo e per me personalmente». «Dolorose concessioni» non è un'espressione vuota? ((Assolutamente no. Proviene dal profondo della mia anima. Guardi, stiamo parlando della culla del popolo ebraico. Tutta la nostra storia si è svolta all'interno di questi luoghi. Betlemme, Silo, Beit El. E so che dovremo rinunciare ad alcuni di questi luoghi. Vi sarà una separazione da luoghi che sono legati con tutto il corso della nostra storia. Come ebreo, questo mi tormenta. Ma hodeciso che farò tutti gli tano che lei sia un De Gaulle israeliano: un leader nazionale, un generale, che a un certo punto capisce che la realtà è cambiata e gira le spalle a parte della sua storia creando una svolta storica radicale. Ha questo tipo di aspirazioni? «Nel paragone con De Gaulle bisogna tenere in mente una cosa: l'oAlgeria» è qui. Non dista qualche centinaio di chilometri. Qui il livello di prudenza necessario è perciò molto più elevato». Ma le sto chiedendo: vuole essere ricordato come l'uomo di punta di questo cambiamento radicale? «Mi permetta di dirle una cosa: sono determinato ad arrivare a un accor- do vero. Credo che chiunque abbia visto quella cosa straordinaria chiamata Stato di Israele nel suo sviluppo, forse capisca di più le cose e sappia meglio come arrivare a una soluzione. Per questo credo che il compito spetti aUa mia generazione, che ha avuto il privilegio di vivere nel corso di imo dei più drammatici periodi nella storia del popolo ebraico. Ho 75 anni. Non ho altre ambizioni politiche oltre al ruolo che rivesto ora. Il mio obiettivo è guidare questa nazione alla pace e alla sicurezza». Lei ha veramente accettato l'idea di due Stati per due popoli? «Credo che questo sia ciò che accadrà. Bisogna vedere le cose con realismo. Alla fine ci sarà uno Stato palestinese. Vedo le cose prima e soprattutto dalla nostra prospettiva. Non credo che noi dobbiamo dominare un altro popolo e guidare le loro esistenze. Non credo che abbiamo la forza di farlo. E' un fardello molto pesante, fa sorgere problemi etici e ha pesanti implicazioni economiche». Tuttavia, sotto la sua leadership Israele è tornato a controllare direttamente le città palestinesi. «La nostra permanenza a Jenin e a Nablus è temporanea. Siamo lì per protegger i cittadini israeliani dal terrorismo. Non è una situazione che possa durare a lungo». Nel passato ha parlato di un accordo ad interim di lungo periodo. Non crede in una soluzione permanente e nella fine del conflitto? «Penso che ora siano state create opportunità che non esistevano nel passato. Il mondo arabo in generale e i palestinesi in particolare sono stati scossi. C'è quindi una speranza di raggiungere un accordo più rapidamente di quanto si potesse pensare». L'elettorato israeliano l'ha scelta due volte a larga maggioranza perché voleva che respingesse Yasser Arafat e lo battesse. Lo ha fatto? «Credo che uno dei nostri successi sia quello di aver aperto gli occhi di molte persone sulla vera natura dell'Autorità Nazionale Palestinese e sulla natura della persona che la guida, rendendo quest'ultima irrilevante. Quando m passato ho usato questa espressione ho choccato molti dei nostri sostenitori, principalmente quelli che scrivono e si esprimono. Ma alla fine, Arafat è diventato irrilevante». Non teme di aver forse vinto la battagha contro Arafat e contro u terrorismo ma di aver perduto sulla questione dello Stato palestinese e degli insediamenti? «Noi abbiamo sostenuto i principi che sono stati espressi dal presidente Bush nel discorso del 24 giugno 2002. Per quanto riguarda l'ultima bozza del piano, nutriamo 14 o 15 riserve e le abbiamo espresse alla Casa Bianca». Quali sono? «La questione principale per noi è la sicurezza. Sulla questione terrorismo non vi sono punti di vista diversi ma un diverso approccio nella scrittura del testo. La seconda questione è quella delle fasi di applicazione dell'accordo, la terza riguarda il diritto di ritomo.». La sua volontà di riconoscere uno Stato palestinese è condizionata al ritiro da parte dei palestinesi della loro richiesta del diritto di ritomo? «Se ci sarà mai la fine del conflitto, i palestinesi dovranno riconoscere al popolo ebraico il diritto a una patria e all'esistenza di uno Stato ebraico indipendente nella patria del popolo ebraico». Sarebbe pronto a congelare le costruzioni negli insediamenti e a evacuare gli avamposti illegali come parte del primo stadio? «E' una materia dehcata. Se ne discuterà neDa fase finale delle trattative. Non è questo il momento di parlarne». Copyright Haaretz Éfe^ Vi sono alcune "^ materie sulle quali saremo pronti a compiere mosse lungimiranti. Saremo pronti a fare passi molto dolorosi. C'è una sola questione su cui non ho mai fatto né farò concessioni: tutto ciò che riguarda la sicurezza del mio Paese. Ma severrà fuori che bbiamo qualcuno con cui parlare, allora decisamente sosterrò che dovremo compiere quei passi, anche se Skfk dolorosi per ogni ebreo ^/^s ^(mL Credo che l'idea di "™ due Stati per due popoli sia ciò che accadrà Bisogna vedere le cose con realismo: alla fine ci sarà uno Stato palestinese. Non credo che noi dobbiamo dominare un altro popolo e guidare la sua esistenza. La nostra attuale permanenza a Jenin e a Nablus è temporanea: è per la protezione dei cittadini dal terrorismo. Non è una situazione che può durare a lungo 99 pace lanche ediamenti» Éfe^ Vi sono alcune "^ materie sulle quali saremo pronti a compiere mosse lungimiranti. Saremo pronti a fare passi molto dolorosi. C'è una sola questione su cui non ho mai fatto né farò concessioni: tutto ciò che riguarda la sicurezza del mio Paese. Ma severrà fuori che bbiamo qualcuno con cui parlare, allora decisamente sosterrò che dovremo compiere quei passi, anche se Skfk dolorosi per ogni ebreo ^/^s ^(mL"™popolBisognrealismStato che noun altla sua attuale a Naper la cittaduna sipuò dpecifico. E' una questione delicaa e non è necessario parlarne oppo. Ma se verrà fuori che bbiamo qualcuno con cui parlare che capisce che la pace non è il errorismo e neanche la rivolta ontro Israele, allora decisamente osterrò che dovremo compiere assi che sono dolorosi per qualunue ebreo e per me personalmene». «Dolorose concessioni» non è un'espressione vuota? Assolutamente no. Proviene dal rofondo della mia anima. Guardi, tiamo parlando della culla del opolo ebraico. Tutta la nostra toria si è svolta all'interno di uesti luoghi. Betlemme, Silo, Beit l. E so che dovremo rinunciare ad lcuni di questi luoghi. Vi sarà una eparazione da luoghi che sono egati con tutto il corso della ostra storia. Come breo, questo mi tormenta. Ma hodecio che farò utti gli tano che lei sia un De Gaulle israeliano: un leader nazionale, un generale, che a un certo punto capisce che la realtà è cambiata e gira le spalle a parte della sua storia creando una svolta storica radicale. Ha questo tipo di aspirazioni? «Nel paragone con De Gaulle bisogna tenere in mente una cosa: l'oAlgeria» è qui. Non dista qualche centinaio di chilometri. Qui il livello di prudenza necessario è perciò molto più elevato». Ma le sto chiedendo: vuole essere ricordato come l'uomo di punta di questo cambiamento radicale? «Mi permetta di dirle una cosa: sono determinato ad arrivare a un accor-