UN'ALLEANZA CONTRO NATURA di Barbara Spinelli

UN'ALLEANZA CONTRO NATURA DALIA PRIMAPAGINA UN'ALLEANZA CONTRO NATURA Barbara Spinelli ^ precisamente questo, almeno nelle forme immaginate dai fondatori: è il tentativo di limitare il potere assoluto esercitato dalle sovranità nazionali, è lo Stato che si disfa di alcuni attributi essenziali per delegarli a un'Unione più vasta, che però abbia il potere di decidere sulla pace e anche la guerra. E' la sfiducia nella violenza creativa di individui o di Stati che non obbediscono ad autorità superiori ma obbediscono solo alla propria forza. I padri dell'America non avevano idee differenti, quando si diedero una costituzione federale. Diceva James Madison negli Scritti Federalisti: «L'ambizione deve esser usata come antidoto all'ambizione», anche se questo può sembrare il risultato di un'analisi pessimistica dell'umana natura. «Ma cos'è il governo stesso, se non la più poderosa analisi dell'umana natura? Se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo. Se fossero gli angeli a governare gli uomini, ogni controllo esterno o interno sul governo diverrebbe superfluo» {Ilfederalista, nr 31). E' significativo che nelle operazioni di controllo esterno dei paesi liberati dalle dittature gli europei siano oggi più preparati degli americani. Sono assai più attivi nelle ricostruzioni postbelliche, in Afghanistan e nei Balcani. Spendono più degli americani in programmi di sviluppo e hanno ovunque soldati di pace. Sono più in sintonia con l'Onu, che è colpevole di gravi omissioni (nei Balcani, a Timor Est, in Ruanda), ma che ha un'abilità non trascurabile nel cosiddetto nation-building. Eppure l'Europa è oggi al bivio, e queste sue capacità non bastano più. Che lei lo voglia o no, Tunilateralismo americano reintroduce la pratica àe\ì'equili¬ brio delle potenze - della baiarne of power - e prende congedo sia dalla cooperazione Onu, sia dal coordinamento che caratterizzò il rapporto atlantico per decenni. L'America sta definitivamente abbandonando l'Europa, e quel che propone è un ritorno al ciascuno per sé. E' una strana libertà quella che si prende, non molto diversa da quella che Rumsfeld constata in Iraq: è la libertà caotica di commettere errori o crimini o anche giustizia, senza dover rispondere a un'autorità superiore. E' come se l'Italia non avesse l'articolo 11 della Costituzione, che l'obbliga a far proprio quanto deciso dagli organismi internazionali cui aderisce (Onu, Nato, Unione europea). Per l'Europa è una sfida senza eguali perché si tratta di entrare nel nuovo ordine della balance cf power - e dunque di divenire a sua volta potenza - senza abbandonare quel che più la caratterizza: l'autolimitazione delle sovranità nazionali assolute. Quel che urge non è la facoltà diparlare in comune: nei mesi scorsi si è visto come i nuovi candidati dell'Europa dell'Est non si accontentino di parole («Se ci fosse stata una politica europea sull'Iraq non avremmo scelto l'America», ha detto l'ex ministro degli Esteri polacco Geremek). Parlare all'unisono è un'attività sterile, se non s'accompagna a istituzioni funzionanti, a valutazioni serie delle minacce, a politiche oculate di alleanze, a metodi di comune decisione che mettano al bando la regola immobilizzante dell'unanimità. Non sarà un cammino facile, ma il tramonto della Nato costringerà prima o poi l'Europa a percorrerlo, dandosi quella politica estera e di difesa che oggi le mancano. Non sarà un'impresa facile, perché il caos non è sempre buon consigliere. Non sembra esser buon consigliere nemmeno per la Francia di Chirac, cui per il momento è associata la Germania di Schròder. A parole Parigi sta cercando di salvare la legalità interna¬ zionale, ma nei fatti è all'origine di due fondamentali impedimenti. Il primo e di carattere istituzionale: proprio lo Stato che più ha invocato l'Europa politica - lo Stato di Chirac - è quello che più resiste, nel continente, a limitare quella sovranità nazionale che gli ha permesso di figurare come leader della pace. Anche Londra si rifiuta di delegare poteri all'Unione, ma almeno è più chiara: essa rifiuta qualsiasi unità politica fru europei. Il secondo impedimento, ancora più grave, è la strategia delle alleanze che Parigi e Berlino stanno intessendo con Putin in Russia, per mettersi al passo con il ritorno statunitense all'equilibrio delle potenze. Per l'Europa e per i suoi ideali, la nuova Triplice celebrata a San Pietroburgo è non solo rischiosa ma contro natura: perché il Cremlino è custode geloso della sovranità assoluta degli Stati nazione, assai più degli Stati Uniti. Perché la politica delle mani libere, che fu dell'imperato¬ re tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale e che oggi viene attribuita all'amministrazione Usa, è il vero segno distintivo di Putin. Nella sua guerra contro i partigiani della Cecenia, il Cremlino vuole evitare proprio quello che tanto caldeggia per il Golfo: un intervento dell'Onu, del Consiglio d'Europa, della Corte penale internazionale. Un genocidio è in corso nella repubblica del Caucaso, e proprio qui Mosca rifiuta quel che chiede per l'Iraq: un'amministrazione Onu che governi l'eventuale passaggio all'indipendenza, come chiesto dal ministro degli Esteri ceceno Ilyas Akhmadov. Il testo del suo piano di pace è rintracciabile nel sito internet dei radicali: i soli che, fedeli allo spirito del nostro articolo 11, sono favorevoli ad amministrazioni Onu in Cecenia e Iraq come in Kosovo e Timor (www. radicalparty.org). Adesso che Saddam è caduto si parla molto, in Europa, di ricucire lo strappo. E' un luogo comune recitato come un man- tra, di cui se perso il significato. Ma qui non si tratta di ricucire, né di restaurare nei rapporti atlantici un qualche status quo ante. Si tratta di pensare i compiti della futura Europa, la sua unità necessaria e la sua necessaria politica, e su questa base riscrivere l'accordo con l'America. Si tratta di contemplare la possibilità di dissentire da Washington senza incorrere nelle oscure minacce di un viceministro della Difesa come Wblfowitz, che ha così messo in guardia Parigi: «I francesi la pagheranno». Si tratta di affrontare il più difficile dei paradossi: il paradosso di un'alleanza con Mosca che somiglia ai trattati di controassicurazione dell'epoca di Bismarck. Un'alleanza che pretende di difendere una legge internazionale cui Putin non presta importanza alcuna, per quanto lo concerne. Un'alleanza che renderà sempre più sospettose le nazioni est-europee che più conoscono la Russia, e che può bloccare la nascita di un'Unione politica per i decenni a venire.