Dopo l'orrore, soio la voglia di tornare a casa

Dopo l'orrore, soio la voglia di tornare a casa CON GLI UOMINI CHE HANNO DATO L'ASSALTO A BAGHDAD E CHE SONO PROSSIMI AL RIENTRO NEGLI STATI UNITI Dopo l'orrore, soio la voglia di tornare a casa soldati americani si chiedono se sapranno dimenticare reportage Oliver Poole Baghdad E' buio, alcuni soldati bevono caffè seduti sulle scalette dei loro tank in quello che adesso è soltanto un cumulo di macerie e fino a pochi giorni fa era un quartiere residenziale di Baghdad. Uno di loro canta con voce morbida il celebre inno country di John Denver. «Country roads, take me home, to the place I belong. West Virginia, mountain momma, take me home, country roads». «Strade di campagna, portatemi a casa...». Gli altri seguono il ritmo dondolando il capo. Dopo mesi di attesa in Kuwait e settimane di combattimenti in Iraq gli uomini che hanno guidato l'assalto a Baghdad sono vicini al momento del ritomo nelle loro basi di origine, negli Stati Uniti. Le nuove unità che li sostituiranno sono già in viaggio. Ora che l'ombra della morte si è quasi del tutto dissolta iniziano a chiedersi cosa li attenderà quando saranno nuovamente in America, con le loro famiglie. «Riusciranno mai a capire?», si chiede uno di loro con la mente che vola alla moglie ed ai figli, a casa, in Georgia. Chiedo loro se pensano di raccontare tutto ciò che hanno visto e fatto e il sergente incaricato di preparare il caffè, versando con cura l'acqua calda nelle tazzine di carta, mi risponde: «Naturalmente. Non c'è nulla di cui vergognarsi. Hai fatto il tuo dovere. Hai vinto. Tutti saranno orgogliosi di te». Ma il primo non è della stessa opinione: «Non so - dice -, non so se voglio che i miei figli sappiano che il loro papà è un killer. Che ha visto corpi abbandonati sulla strada finché non arrivava qualche cane randagio e cominciava a mangiarli. Non so nemmeno se voglio ricordare. Voglio lasciarmi alle spalle tutto questo, quan¬ do ci daranno l'ordine di tornare a casa». Qualcuno è assalito dal timore di non riuscire a cancellare certe esperienze. «Ce la farò a dimenticare, dottore?», chiede lo specialista Woodward mentre si siede, fumando, sullo sportello di un blindato assieme al medico della sua squadra. «Ce la farò a camminare per la strada senza essere terrorizzato ogni volta che sentirò una macchina accelerare di colpo? La mia vita tornerà normale? Ci sono immagini che non si dissolveranno mai, un pugno di momenti congelati nella mia memoria», dice Gerald Pyle, il comandante della compagnia corazzata che ha guidato l'avanzata finale dall'Eufrate a Baghdad. «Ricordo un uomo che usciva da una macchina bruciando dall'altezza della coscia in su. E' sceso come per andare a comprare un hamburger e ha raccolto un AK47. Gli abbiamo sparato e lo abbiamo ucciso. Ricordo un sol¬ dato che mi guardava negli occhi dalla sua trincea mentre gli sparavo. Schegge di tempo». Dopo le battaglie molti soldati si sentivano come se avessero appena svolto un'esercitazione. Le reazioni e le sollecitazioni sperimentate centinaia di volte nelle simulazioni facevano sì che nella mente delle truppe statunitensi si innestasse una sorta di pilota automatico ogni volta che si trovavano di fronte il nemico. L'esercito teme che questo stato di effettiva dissociazione mentale, che ha permesso ai soldati di portare a termine ogni missione con una spietata professionalità, potrebbe rivelarsi per loro fonte di numerosi problemi emotivi, nel momento in cui realizzeranno che non colpivano bersagli fittizi, ma esseri umani. «Nell'arco del prossimo anno avremo molti problemi», dice il capitano Ross. «Sarà difficile mantenere la disciplina dal momento che ognuno penserà "Hey, abbiamo appena combattuto una guerra". Alcuni soldati probabilmente useranno violenza sulle loro mogli perché hanno speso tutto i loro rispanni mentre erano al fronte. Altri si rifugeranno nell'alcol e nelle droghe». «E' stato quando ho visto la prima persona a terra, esanime, durante gli scontri a Nasiriyah, che ho capito quanto la vita sia preziosa», dice il sergente Norman Waver, 33 anni. «Era un iracheno che giaceva sul ciglio della strada. La prima cosa che ho fatto è stata pensare che anche lui aveva una famiglia e che l'avere qualcuno a casa che mi amava non mi avrebbe protetto in nessun modo. Adesso voglio solo tornare da mia moglie e dirle quanto la amo. Portare i miei figli in giro per l'America. Questo »è tutto ciò che penso: la vita è preziosa e non va sprecata». Copyright The Daily Telegraph Un sergente: «Racconterò tutto ai miei figli. Non ho nulla di cui vergognarmi Saranno orgogliosi di me» Un soldato: «Non voglio che i miei ragazzi sappiano che il loro padre è un killer» Un gruppo di marines ieri dopo essere stati bersagliati da tiri di cecchini si muovono coperti dai blindati presso il palazzo presidenziale sulla sponda del Tigri

Persone citate: Gerald Pyle, John Denver, Norman Waver, Oliver Poole, Woodward