Stroncato il «racket degli ucraini»

Stroncato il «racket degli ucraini» LE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI IN PIEMONTE Stroncato il «racket degli ucraini» Pizzo agli autisti dei furgoni con le merci per gli immigrati Claudio Laugerì Tutti arrivati in Italia dall'Ucraina, confidavano nell'omertà di complici e «bersagli» per continuare a ricattare gli autisti dei furgoni che ogni settimana fanno la spola tra l'Est e alcune città italiane. Ma è stato proprio il silenzio di tre «soldati» dell'organizzazione a insospettire i carabinieri. E' incominciata così l'indagine che ha portato a scoprire un «racket» da 200 mila euro la settimana, con 500-600 autisti ricattati e schedati (negli archivi dell'Associazione culturale Italo-Ucraina «Patria»). Su richiesta dei pm Onelio Dodero (della Dda di Torino) e Giovanni Caspani (procura di Novara), il giudice delle indagini preliminari Alberto Viti ha firmato 16 ordinanze di custodia cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata all'estorsione e alla rapina. In carcere sono finiti Alyaksandr Rahulia, 29 anni, considerato il capo dell'organizzazione in Italia; il suo «braccio destro», Andriy Panasyuk, 34 anni; il «cassiere» Yuriy Porubchenko, 27 anni; Valeriy Avramenko, 27 anni; Volodymyr Bekysh, 24 anni; Oleh Bondarev, 34 anni; Yaroslav Galyshich, 25 anni; Rostyslav Hanusyak, di 26; Volodymyr Kyryliv, di 25; Zoryan Krilyk, di 25; Serhiy Yuzkov, di 27; Olexander Kovalenko, di 25; Taras Prots, di 33. Sono sfuggiti all'arresto Ihor Veretelnyk, 25 anni; Uladzimir Miatezh, di 25; Volodymyr Krilyk, di 27, fratello di Zoryan. Con ogni probabilità, i tre sono in Ucraina. Per gli stessi reati sott'inchiesta è finito Sergiy Bakulin, 29 anni. Il procuratore aggiunto Maurizio Laudi ha definito «sofisticata» la tecnica utilizzata dall'organizzazione per spillare soldi ai compatrioti immigrati in Italia. Il responsabile della Dia torinese Vito Cunzolo e il suo vice Michele Sole hanno poi spiegato le modalità dell'estorsione: i «soldati» seguivano i furgoni dalla frontiera con l'Austria fino a destinazione, annotavano la targa e la comunicavano via cellulare ad altri uomini che attendevano nei punti di ritrovo delle comunità ucraine. Già, perché quello dell'arrivo dei furgoni è un appuntamento fisso. Una volta alla settimana, pacchi in arrivo e altri pacchi in partenza, di solito vestiti e cibo per i familiari in Ucraina. Di solito, l'appuntamento nei piazzali davanti alle stazioni ferroviarie, oppure in altre zone facili da raggiungere (a Torino, la zona è Porta Palazzo). L'indagine è stata avviata a giugno, i carabinieri del comando provinciale di Novara hanno arrestato a Borgomanero 3 componenti dell'organizzazione (Avramenko, Zoryan Kri- lyc e Yuzkov): secondo gli investigatori, avevano tentato di estorcere denaro ad alcuni autisti appena arrivati dall'Ucraina. I tre «soldati» si ostinavano a tacere e i militari hanno intuito che quel silenzio nascondeva qualcosa. Dopo i primi appostamenti, l'indagine è passata in mano alla Dia. Gli investigatori hanno scoperto estorsioni a Verona, Brescia, Milano, Novara, Bologna, Firenze, Napoli e Reggio Calabria. La prima volta, gli autisti venivano avvicinati da «soldati» dell'organizzazione. Il «pizzo» andava dai 100 ai 250 euro, a seconda del carico trasportato: più persone attendevano ai punti d'incontro e più alto era il «dazio». Per convincere i meno propensi al pagamento, i «soldati» mostravano i filmati del furgone girati lungo il tragitto. Se non bastavano, c'erano le botte. In più, l'organizzazione vantava legami con la «Brigata Leopoli», equivalente ucraino di associazioni come mafia e camorra. «Qualche autista ha parlato, ma soltanto quando ha capito che sapevamo già» hanno ricordato Cunzolo e Sole. I bollini adesivi dell'associazione «Patria» (legale rappresentante era Prots) servivano per identi¬ ficare i furgoni e gli autisti da avvicinare. I componenti dell'organizzazione utilizzavano documenti falsi su carta autentica, ottenuti grazie alla «Brigata Leopoli». Viaggiavano su monovolume o auto familiari, tenevano i soldi in banche di Brescia e Napoli, abitavano in ville affittate in zone isolate. Il «capo», il «cassiere» e Hanusyak (detto «Slavik il grasso») sono stati presi proprio nel Bresciano. Il boss aveva 6 mila euro e 2 mila dollari impacchettati e cuciti nella fodera interna della tuta che indossava. I soldi sono finiti sotto sequestro. E lui in carcere. In manette tredici componenti della banda che agiva in tutta Italia I camionisti erano seguiti dal confine e minacciati In un filmato della Dia un «soldato» dell'organizzazione intasca il pizzo da un camionista. In alto il procuratore aggiunto Maurizio Laudi mentre illustra l'operazione