Le tre date della storia italiana che ricordano la fine di Saddam di Curzio Malaparte

Le tre date della storia italiana che ricordano la fine di Saddam LA CADUTA DEL REGIME IRACHENO E LA FINE DEL FASCISMO Le tre date della storia italiana che ricordano la fine di Saddam Molti politici hanno citato il 25 luglio e i'8 settembre del '43, ma anche il 25 aprile '45 n una giornata, il 9 aprile, nella capitale irachena si sono concentrate quelle diverse fasi analisi Pierluigi Battista ROMA A Napoli, scriveva Curzio Malaparte già nelle prime righe della Pelle, la Liberazione aveva messo in mostra, sempre più purulente, piaghe antiche. Erano i giorni della «peste», narrava lo scrittore inorridito con enfasi espressionistica. Attraverso quella marmaglia «squallida, sporca, affamata, vestita di stracci» che si accalcava attorno a «torme di soldati» che parlavano una lingua indecifrabile si rivelava un lato sordido dell'esistenza umana incapace di essere trasfigurato persino nei giorni luminosi della liberazione di un popolo. Ecco perché in Italia non ci si potrà mai stupire delle scene di Baghdad, in cui la gioia della libertà si mescola alle immagini torve del saccheggio e la gratitudine per i «liberatori» si intreccia con le istantanee di un atavico servilismo verso il vincitore. La «peste» della Baghdad liberata che ripete, amplificata e macroscopica, quella dell'Italia liberata. I giornali, i commentatori, i politici hanno letto la scena di Baghdad come una ripetizione di una tragedia tutta italiana. E si sono moltiplicate, non sempre in modo appropriato, le analogie tra le due storie. Come interpretare il simbolismo messo in scena nel cuore della capitale irachena. Forse con il 25 aprile del 1945? Oppure con il 25 luglio del 1943? O con lo sbarco americano in Sicilia? Oppure come l'S settembre? Troppi richiami in una volta hanno rischiato di stabilire un cortocircuito storico e mentale. L'immagine dei carri armati che conquistano la città; la statua del tiranno platealmente abbattuta; le folle che agitano le bandiere dei «vincitori» e si esibiscono davanti alle telecamere smozzicando brevi frasi in anglo-iracheno; le armate di Saddam che si squagliano; la fuga del despota e della sua nomenklatura; le folle miserabili che approfittano dell'anarchia; la paura delle vendette e la realtà del linciaggio, come ieri a Najaf ; la carica disordinata e deplorevole dei voltagabbana. In un'unica giornata irachena si concentra una tale densità di eventi da richiamare alla memoria italiana episodi diversi, date distinte, momenti, scene differenti. Come se attorno al 9 aprile del 2003 a Baghdad si condensassero in un'unica entità il 25 luglio, 1*8 settembre, il 25 aprile dell'Italia. Il 25 luglio del 1943, dopo tre anni di guerra devastante, a un po' di giorni dallo sbarco alleato sulle coste della Sicilia, il regime fascista cerca di salvare se stesso attraverso il sacrificio rituale del suo capo e capro espiatorio e di separare la sorte dei gerarchi (assieme a quella della Corona) da quelle del duce che li aveva guidati alla perdizione. Fu lì che il popolo si sfogò nella distruzione, simbolica e materiale assieme, delle icone del tiranno. Come la ciclopica statua di Saddam tirala giù nel cuore di Baghdad, nei giorni che seguirono il 25 luglio, la folla italiana che aveva riempito di sé le adunate oceaniche sotto il balcone del duce cominciò a demolire le statue di Mussolini, a sfondare quadri e busti con la sua immagine, a cancellare le scritte murali firmate «Dux», a nascondere e incenerire ritratti e immagini del capo del fascismo un tempo esibiti negli uffici e nei tinelli, a cancel¬ lare le tracce dei distintivi del partito fascista, a riversarsi nelle strade per vituperare la figura che fino al giorno prima era stata fatta oggetto del più grottesco culto della personalità. A Roma come a Baghdad? Ma alla Baghdad del 2003 si sovrappone il ricordo traumatico di un'altra data: l'S settembre del 1943. E' in questa data che si dissolve l'esercito italiano. L'S settembre si fissa nella memoria collettiva e nelle storie individua¬ le come il momento topico della disintegrazione, del collasso, del «tutti a casa», come recita con una formula destinata a riassumere il significato di quel giorno il titolo del celeberrimo film di Luigi Comencini interpretato da Alberto Sordi. Le armate che si spappolano, che non riconoscono più un comando, che sono abbandonate a se stesse, con le divise nascoste e gettate nel fiume, rappresentano il tratto che più di tutte la memoria italiana ha associato alla dissoluzione delle armate di Saddam, liquefatte nel giorno della disfatta. Ma è solo attorno e dopo il 25 aprile del 1945, la terza data di quel frangente storicamente decisivo della storia italiana, che si ha notizia del tentativo di fuga di Benito Mussolini, infagottato in un cappotto sformato assieme a Claretta Petacci, fermato e fucilato, il cui corpo oramai senza vita verrà straziato, oltraggiato e impiccato per i piedi presso un distributore di benzina dalla folla inferocita di Piazzale Loreto. La stessa Piazzale Loreto che, come spiega Sergio Luzzatto nel suo II corpo del Duce, diventerà ben presto e ancor oggi resta con indistruttibile continuità (e persino banalizzato come modo di dire nel lessico corrente) il simbolo del tiranno un tempo amato e poi odiato e vituperato. Cosi come, nell'immaginazione collettiva, resterà un tabù inviolato per tanti decenni la spirale delle vendette che seguirà la data della Liberazione, segno eh un clima di «guerra civile» per lungo tempo rimosso ma non dimenticato. Suggestioni e analogie che naturalmente oltrepassano la specificità dei diversi momenti storici vissuti dall'Italia di sessant'anni fa e dall'Iraq di questi giorni. Ma nella dimensione simbolica dove dominano la persistenza delle immagini, l'automatismo dei ricordi e la sequenza delle emozioni condivise non si conosce l'arte analitica delle distinzioni e delle ovvie differenze. E nelle televisioni di tutto il mondo, la fusione in un'unica, storica giornata di episodi e dinamiche collettive assume imo spessore che inevitabilmente gli itabani sono indotti a riportare alla loro esperienza. Perciò non è stravagante che un politico italiano ricordi il 25 aprile, un giornale italiano rievochi l'S settembre e un altro il 25 luglio: le tre date si confondono e si contraggono in un'unica sequenza ininterrotta. Che nei suoi aspetti più torbidi forse non aspetta altro che la penna di un nuovo Curzio Malaparte.

Persone citate: Alberto Sordi, Benito Mussolini, Claretta Petacci, Curzio Malaparte, Duce, Luigi Comencini, Mussolini, Piazzale Loreto, Pierluigi Battista, Sergio Luzzatto