Il mondo arabo guarda attonito la grande disfatta
Il mondo arabo guarda attonito la grande disfatta LE REAZIONI IN MEDIO ORIENTE ALLO SGRETOLAMENTO DEL REGIME IRACHENO Il mondo arabo guarda attonito la grande disfatta C'è chi grida al tradimento, chi accusa le tv satellitari di avere ingannato tutti raccontando di un'eroica resistenza delle truppe di Saddam. Scandalo per gli iracheni che applaudono i soldati Ibrahim Refat It CAIRO Il mondo arabo è rimasto incredulo di fronte alle proporzioni della disfatta del regime iracheno. C'è chi grida al tradimento; chi accusa le tv arabe satellitari, come Al-Jazeera, di aver ingannato l'opinione pubblica sulla resistenza delle truppe di Saddam. C'è persino chi accusa in blocco tutti regimi arabi di essere responsabili, con il loro dispotismo, delle ripetute sconfitte. «E' un terremoto, non soltanto per l'Iraq, ma anche per l'intera regione. Stentiamo a credere a quello che i nostri occhi vedono in questi giorni. I tank americani stanno modificando la fisionomia del mondo arabo», è il commento di Qasem Jaafar, presentatore di Al-Jazeera, la televisione qatariota a essere messa per prima sotto accusa dell'opinione pubblica araba. «Ha ingannato la gente parlando di un'eroica resistenza degli iracheni che non c'è stata», ha scritto l'editorialista Ahmed al-Rabii, del quotidiano filo-saudita al-Shark al-Awssat. Con l'esercito di Saddam in rotta, ora la tv satellitare araba più seguita (45 milioni di telespettatori) paga in termini di credibilità: «Nessuno crede più in quello che dice Al-Jazeera», ha sbottato ieri Hassan Ali, un impiegato egiziano. Al-Jazeera era diventata la portavoce del regime iracheno in queste tre settimane di conflitto. Le altre tv satellitari arabe l'hanno inseguita amplificando i discorsi rassicurativi del ministro dell'Informazione Al-Sahaf, che fino all'altro ieri negava la presenza dei marines a Baghdad. Gli altri media arabi hanno fatto altrettanto, prospettando una sconfitta sonora per gli americani. Qualche giornale, come l'egiziano «Al-Wafd», ieri non ha menzionato la presa di Baghdad, limitandosi a parlare delle vittime civili e della resistenza degli iracheni. Ma i fautori del nazionalismo arabo, non si perdono d'animo. Secondo loro, prima e poi il popolo iracheno si solleverà contro le truppe d'occupazione. «L'America non deve cantare vittoria. La guerra vera non è ancora incominciata», dichiara l'esperto Dia Rashwan. Quando? Non lo dice. Per adesso prevale l'impotenza. «E' come la disfatta del 1967, quando i bollettini di Radio Cairo parlarono delle tremende perdite inflitte a Israele. Poco dopo scoprimmo di aver perso tutto. Fu uno shock per il mondo arabo», spiega Wahid Abdel Maguid, condirettore del Centro studi strategici del quotidiano egiziano «Al-Ahram», uno dei «think tank» più importanti di tutto il Medio Oriente. Altri addirittura paragonano la resa dell'Iraq alla sconfitta nella prima guerra contro Israele del 1948, alimentando la paranoia. «C'è puzza di tradimento», grida l'analista politico dell'Oman, Salem Batmira. Al Cairo davanti alla sede dell'Ordine degli avvocati dove fino all'altro ieri si reclutava combattenti islamici disposti a immolarsi per l'Iraq, una piccola folla ha accusato il regime iracheno di aver tradito il suo popolo. Perché la Guardia repubblicana si è volatilizzata in un batter d'occhio? Perché i kamikaze di Saddam sono scomparsi? Se lo sono chiesto in molti. Tutti però dimenticano che i media arabi filo-governativi e non avevano creato il mito dell'invincibilità delle divisioni del Raiss, che avrebbero trasformato l'Iraq in un nuovo Vietnam. Ma la pietra dello scandalo sono state le immagini degli iracheni mentre applaudivano le truppe Usa. «Perché gli iracheni avrebbero dovuto difendere i loro carcerieri? Era giusto abbandonare al proprio destino un regime che li aveva oppressi e ridotti in miseria per trent'anni», spiega Abdel Maguid. La tesi secondo cui la dittatura è stata la causa della sconfitta degli iracheni e di tutte le altre sconfitte subite dagli arabi nella loro storia incontra in questo momento il favore delle varie correnti politiche: islamici, nazionalisti, liberali, socialisti, comunisti. Questa consapevolezza rappresenta la vera novità prodotta nel mondo arabo dal ciclone dell'invasione dell'Iraq. Richieste di rispetto dei diritti umani e della legalità, dell'introduzione di riforme democratiche su larga scala nel mondo arabo sono echeggiati proprio ieri durante la protesta che si è svolta davanti all'ordine degli avvocati al Cairo. «I governanti arabi devono trarre lezione da quanto sta accadendo in Iraq smettendola con la repressione. Occorre liberare le decine di migliaia di detenuti politici nei Paesi arabi e introdurre serie riforme democratiche e modificare il sistema scolastico e il linguaggio dei media», ha sollecitato il penalista islamico Muntassar al-Zayat. Alcuni analisti arabi laici prevedono che prima o poi i regimi mediorientali saranno costretti a procedere gradualmente sulla strada delle riforme, pena la loro dissoluzione. Uno studioso: «E' come la sconfitta dell 967 quando i bollettini di Radio Cairo parlarono delle tremende perdite inflitte a Israele. Poco dopo scoprimmo di avere perso tutto Fu uno shock per noi» Una nuova rivoluzionaria tesi si sta facendo avanti in tutte le correnti politiche: che la sconfitta di questa battaglia e di tutte quelle subite dagli arabi nella loro storia vada ricercata nella natura delle dittature izl**8^ m Era il lussuoso yacht di Saddam Hussein. Ora l'«AI Mansur» è un relitto nel porto di Bassora, un altro monumento sfregiato del Raiss, una curiosità per gli iracheni
Persone citate: Abdel Maguid, Dia Rashwan, Hassan Ali, Ibrahim Refat, Muntassar, Qasem, Saddam Hussein, Wahid Abdel Maguid
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