IL SACCHEGGIO Anarchia; incendi etemikazea Baghdad libera di Giuseppe Zaccaria

IL SACCHEGGIO Anarchia; incendi etemikazea Baghdad libera L'ESERCITO ANGLOAMERICANO NON HA ANCORA IL CONTROLLO DELLA CAPITALE OCCUPATA IL SACCHEGGIO Anarchia; incendi etemikazea Baghdad libera reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD IL nuovo colpo di coda dei «martiri di Allah» giunge appena dopo il tramonto con un'esplosione diversa dalle altre: si ode fortissima e assieme cupa, immediatamente la seguono urla e raffiche di mitra. Un «kamikaze» si è fatto appena saltare in aria a un posto di blocco a poche centinaia di metri dall'albergo Palestine. Era a bordo di un'auto, almeno quattro soldati americani sono feriti, forse due sono morii (ma il Pentagono non conferma), nelle avanguardie del contingente di occupazione il nervosismo si fa altissimo. Adesso tutti i civili che si avvicinano ai check-point vengono respinti. Per un nonnulla si spianano le armi e scattano gli otturatori. La domanda sembra stampata nelle espressioni dei giovani incursori che tentano di difendersi dalla notte: ma questa città è stata conquistata oppure no? Oggi la capitale dell'Iraq mostra almeno tre volti diversi, che poi rappresentano solo un primo campionario delle tante facce che può assumere. Il più limitato è quello della cittadella americana, la ridotta dell'informazione, due alberghi sulla riva sinistra del Tigri protetti da un numero incredibile di carri pesanti che circondano il circo mediatico. E' quella a ridosso della quale si è appena svolto l'attentato, tutto si svolge al suo interno, conferenze stampa, statue abbattute, manifestazioni di' giubilo organizzate dai medesimi tassisti che prima lavoravamo col. regime e adesso cercano . di offrire i propri servigi ai vincitori. La seconda faccia è quella sanguinolenta di uno scontro militare dato per concluso troppo in fretta, e che invece riavvampa di colpo. Ieri a Nord Est nelle zone di Al Durah e Adhamja e nel sobborgo meridionale di Dorah si sono rinnovati i combattimenti. Un altro «marine» è stato ucciso assieme con venti civili, i feriti sono stati numerosi e soprattutto nella zona Sud il massacro è stato orribile, i marciapiedi scrostati di Dorah sono letteralmente coperti di corpi carbonizzati e mutilati, anche di donne e bambini. Il tetro aspetto della metropoli è quello disgustoso della devastazione e del saccheggio, delle strade invase da criminali, razziatori, laidi, sgorbi e reietti, da donne in nero trasformate in Erinni, bande di ragazzini che impugnano i kalashnikov abbandonati dall'Armata. Sfondano porte e cancelli, distruggono case e negozi, ville dei potenti e uffici statali, trascinano fuori casseforti vuote dalle banche, infrangono le cancellate dei negozi, danno fuoco a tutto ciò che non ha soddisfatto la loro smania di appropriazione. Sono le masse straccione e disperate di Saddam City che calano a Baghdad con tutta la carica di livore di chi per decenni è stato tenuto fuori dalla città, sono i ghetti che si rovesciano famelici sul centro, l'umanità marginale - poca gente al mondo è stata più «marginale» delle masse sciite inurbate nel Califfato di Saddam - che se la prende col mondo. I marines americani assistono da lontano un po' smarriti, tengono nervosamente le posizioni e non sono in grado di intervenire. L'hanno fatto ieri mattina solo per salvare la sede della Croce Rossa Intemazionale, ma non hanno potuto fermare il sacco dell'ospedale «Al Kindi» con medicinali rubati, letti portati via, le rare flebo strappate dal braccio dei malati. Non hanno impedito la devastazione dell'ambasciata di Germania, chiusa dall'inizio della guerra ma da ieri spogliata di ogni arredo, di qualsiasi attrezzatura, perfino della bandiera che tre selvaggi si contendevano di fronte all'ingresso riducendola a brandelli. Non hanno interrotto l'assalto al Centro culturale francese, dove i libri che hanno segnato la crescita del mondo sono stati branditi, strappati, bruciati da ladroni che non riu- scivano neanche a considerarli utili trofei. Hanno assistito da lontano alla devastazione della sede dell'Unicef. Altri saccheggiatori si dirigevano intanto sulla riva orientale del Tigri verso alcune delle numerose abitazioni dei potenti: una villa di Ouday Hussein da dove è uscito un altro splendido purosangue arabo che forse adesso sarà impiegato per tirare un carretto, uno degli appartamenti di Tarek Aziz (mai usato: i mobili erano ancora protetti e coperti dalla plastica), quelli di fratellastri o cugini di Saddam Hussein. A giudicare da ciò che usciva sulle spalle dei predatori, il «clan» dei Tikriti doveva avere un gusto particolare per il barocco laccato di bianco. Poi, via via che la marmaglia prendeva il controllo della zona orientale il tipo e la qualità degli assalti hanno preso ad impove¬ rirsi: non più uffici e ville ma anche negozietti che vendevano «shawarma», microscopiche edicole del tè, buchi che a malapena sopravvivono friggendo i «felafel». All'ennesima scena che comprendeva un poveretto ustionato dalla sua stessa padella dell'olio, due ragazzini che sparavano raffiche di mitra in aria e sull'insegna di cartone mentre altri si lanciavano le polpette di farina di ceci come pa le di neve, l'autista che ci stava guidando ha sbottato: «Qui di Saddam ce ne vorrebbero due... ». In effetti il problema della conquista di Baghdad sta rapidamente cambiando segno, da cascame di impresa militare si trasforma in urgente questione di ordine pubblico. I marines sono ancora troppo pochi per conquistare ogni zona della città, non hanno l'addestramento né la mentalità dei poliziotti, e soprattutto non sono qui per questo. La struttura del partito «Baath» che controllava tutto, si occupava di tutto, si è dissolta con il regime, e con lei il controllo sociale;, non esiste più la polizia, non si trovano vigili del fuoco e non c'è un vigile urbano. Di quest'ultima categoria per la verità non si avverte impellente bisogno. La Baghdad che negli spot televisivi si voleva felice e liberata è ancora una metropoli semideserta dove le poche auto che girano sventolano dai finestrini o innalzano sul tetto grandi pezze di stoffa bianca. Sono i segni della resa a un occupante che con una certa superficialità aveva annunciato il pieno controllo di una città incontrollabile, e subito dopo ha cominciato a rendersi conto di quanto profonda sia la pozza di fango in cui si è infilato. Ieri pare che abbiano cercato Saddam Hussein in una moschea, quella di Um al-Marak, a Nord Est. Forse non c'era il capo ma un certo traffico di limousine sembrava indicare una concentrazione di gerarchi, i Feddayn si sono asserragliati nel tempio, la battaglia è stata sanguinosa, dalle cinque alle dieci del mattino tutta la parte Nord della città rimbombava di detonazioni. Non si hanno notizie sulla condizione del tempio islamico, ma se fosse stato seriamente danneggiato si aprirebbe un altro fronte di ribellione. Gruppi di Feddayn (alcuni iracheni, altri provenienti da diversi Paesi arabi) resistono o attaccano ancora in altre tre zone della città, le esigenze belliche spingono l'esercito occupante a rinviare l'emergenza del vivere civile per occuparsi di una «messa in sicurezza» che sarà molto difficile ottenere. Tornano a colpire i «martiri di Allah» Un uomo in auto si fa esplodere a un posto di blocco vicino al «Palestine» Quattro soldati Usa restano feriti, forse due sono morti (ma il Pentagono non conferma) Un marine resta ucciso con 20 civili, fra cui donne e bambini, in scontri armati nella periferia meridionale I derelitti dei quartieri poveri svuotano le ville dei gerarchi, gli uffici pubblici e i negozi l'ambasciata tedesca e il Centro culturale francese dando fuoco a tutto quello che non possono portare via In ospedale medicinali rubati, letti caricati in spalla e flebo strappate dal braccio dei malati Gli americani non intervengono Un iracheno seduto in strada su una poltrona appena razziata all'ambasciata tedesca a Baghdad; intorno ha altri oggetti frutto del saccheggio della rappresentanza diplomatica

Persone citate: Palestine, Saddam City, Saddam Hussein, Tarek Aziz, Tikriti