«Se ne vadano al più presto Abbiamo sofferto troppo» di Giuseppe Zaccaria

«Se ne vadano al più presto Abbiamo sofferto troppo» RACCONTO DI UN IRACHENO CHE NON HA VOLUTO FESTEGGIARE «Se ne vadano al più presto Abbiamo sofferto troppo» I «danni collaterali» hanno provato la capitale la storia Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD ANDREAUS (forse la grafia è sbagliata, ma comunque non vuole che si usi il suo nome vero) è un cristiano che fino all'inizio delle sanzioni lavorava come ingegnere elettronico e fino all'inizio della guerra si industriava a riparare i computer. Per religione e censo appartiene alla fascia medio-alta della borghesia irachena, da quando ci siamo conosciuti non ha perso occasione per chiedere notizie sull'avanzata o meno degli eserciti alleati, ha tremato quando la tv irachena ha mandato in onda le immagini dei primi prigionieri americani («Hai visto mai che s'impressionano e bloccano tutto...»). In un momento d'euforia ha promesso agli amici europei che nel giorno À della presa americana di Baghdad avrebbe sgozzato un tacchino e offerto due preziosissime bottiglie di champagne che tiene come una reliquia. Poi, però, man mano che l'avanzata progrediva, si ripetevano i «danni collaterali» e le bombe continuavano a cadere sulla città, gli entusiasmi si sono raffreddati. E adesso, nello spiazzo su cui si affacciano i due alberghi dei giornalisti, assiste in silenzio e a braccia conserte al rito mediatico dell'abbattimento di una delle tante statue di Saddam. Non è che abbia l'aria dispiaciuta, è che questi momenti non riescono come ci si aspettava. Perché, ingegner Andreaus? Stasera, risponde lui, avrebbe dovuto essere con me Saddoun al Basri, l'amico di una vita, lo stesso con cui migliaia di volte avevo parlato di Saddam e del regime, delle violenze, delle sopraffazioni, ma non posso farlo perché Saddoun è morto due settimane fa in uno dei primi bombardamenti, nell'area di al Mansour, sua moglie con lui, e anche la più simpatica delle figlie, che gli aveva appena dato una nipotina. Si chiamano «danni collaterali», caro amico, ogni guerra se ne trascina dietro un rosario... Andreaus lo sa e dice che lo sapevano tutti, tutti quelli almeno che avevano sperimentato i bombardamenti del '91. Poi però i sentimenti hanno cominciato a virare, e la fiducia a inquinarsi. Dice: ricordi la ragazza finto bionda che lavora nel negozietto di cianfrusaglie dell'hotel Palestine? Un giorno, chiacchierando, mi ha sussurrato che a lei di Saddam importava un bel nulla, ma che non poteva perdonare gli americani. Nei '91, quand'era una bambina, si era trovata nel rifugio in cui più di 400 civili vennero arsi vivi da una «bomba intelligente», nove persone della sua famiglia vennero stermina¬ te, e lei si salvò solo perché si trovava vicino alla porta. Be', continua l'ingegnere, il modo di pensare di quella ragazza era chiaro, netto, immodificabile. E da quella chiacchierata ho cominciato a vedere in modo un po' diverso le cose che mi capitavano intorno, perché di persone ancorate al medesimo, immodificabile punto di vista Baghdad è piena. Dopo tre guerre e dodici anni di sanzioni non c'è praticamente famiglia che non abbia avuto un parente o un amico ucciso, un figlio o un nipote fatti prigionieri, che non abbia visto un bambino morire di denutrizione... E se ne esisteva ancora qualcuna, i terribili bombardamenti di questi giorni hanno fatto il resto. Anch'io ho cominciato a soffrire, ogni notte e poi ogni giorno gli schianti mostruosi di quelle bombe mi grattugiavano il cervello. Mia moglie non ha resistito a lungo, già dopo una settimana cominciava a urlare a ogni nuovo attacco, a graffiarmi mentre cercavo di quietarla o di tenerla ferma, cercava di infilarsi sotto il letto come un cane, da noi non esistono cantine né rifugi. Ho sentito i bambini dei miei vicini piangere sempre più disperatamente, ogni giorno li vedevo più magri e con le occhiaie più grandi. Ho portato un mio amico e i suoi figli, anche se musulmani, all'ospedale delle suore domenicane e uno psicologo ha detto che non esistevano terapie, che rassicurare i bambini era impossibile anche per le immagini dei loro coetanei uccisi che continuavano ad apparire in televisione. O li si portava via da Baghdad o li si imbottiva di tranquillanti, ma non si trovavano neanche quelli. Alla borsa nera il mio amico ha dovuto spendere 80 dollari, il suo stipendio di due mesi, per un flacone di Lexotan recuperato dai magazzini di un'organizzazione umanitaria. Anch'io ho due figli, un ragazzo e una ragazza, e oggi pensavo di proteggerla portandola con me, si trovava nell'atrio dello Sheraton quando sono entrati i marines americani. E' una ragazza saggia, va all'università, finora mi aveva aiutato molto a tener calma la madre. Invece in quel momento è crollata, alla vista di quei soldati che col mitra spianato urlavano comandi incomprensibili si è messa le mani nei capelli, si è gettata a terra, hi. cominciato a piangere e a urlare... L'hai vista anche tu, anzi jrazie per aver cercato di consoarla. Ecco, ho capito che anche lei aveva immagazzinato uno stress tale e aveva un'immagine così terribile dell'esercito invasore che mai si toglierà questa scena dalla testa. Quindi, caro amico, non scrivere il mio nome per favore, ma ti dico che questa gente prima se ne va e meglio farà. Ci ha fatto soffrire troppo. «Stasera nella città liberata doveva esserci con me l'amico di una vita. Ma è morto due settimane fa, con la moglie e una figlia»

Persone citate: Palestine, Saddoun

Luoghi citati: Baghdad