Giacomo Mancini, a testa alta di fronte al destino di Antonella Rampino

Giacomo Mancini, a testa alta di fronte al destino UNA SETTIMANA DI CELEBRAZIONI A COSENZA AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA Giacomo Mancini, a testa alta di fronte al destino Antonella Rampino ROMA Giacomo Mancini. Un sonorissimo maestoso piantagrane, di finissima scuola politica socialista, che ha battagliato con tutti - proprio tutti - i potentati del paese suo. Inteso come l'Italia, e inteso come Cosenza, la città nella quale nacque, nella quale si fece le ossa ragazzino che già i fascisti gli urlavano sotto casa, nella quale, lui uscito a testa alta per davvero perfino da Tangentopoli, lo inquisirono, ottantenne, per mafia, quella locale, la 'ndrangheta. E la città, Cosenza, nella quale tornò trionfatore e sindaco. Così adesso proprio la sua Cosenza, a un anno esatto dalla morte, ne celebra la memoria. Per un'intera settimana, convegni con Giorgio Napolitano e Gerardo Bianco, e con tanto d'allestimento di «Segreto di Stato», la pièce satirica a chiave con la quale U più volte ministro e segretario non ortodosso del partito soci alista addirittura anticipò, nel 1980, i misteri di Gladio e le deviazioni di Stato, e insomma tutto quanto poteva avvenire in un fantastico Paradiso democristiano dove s'insinua un diavolo che, per dire, porta il monocolo e fa il capo del Sifar, proprio come il generale aspirante golpista De Lorenzo. Ecco, parlare di Giacomo Mancini non è facile. Nemmeno, addirittura, per Francesco Cossiga che puntella, per lui insolitamente, il ricordo di esclamativi. Quando parla dell'uomo: «Fu di sentimenti forti, di forti amori e anche, se la parola non fosse in contrasto con la sua forzatamente dissimulata ma chiaramente innata grande signorilità, di forti odi». Ma odi e amori «mai mossi da meschini risentimenti personali o da ancor più meschini interessi». Quando parla del politico: «Fu un antifascista inflessibile per ribellione morale alla violenza e alla sopraffazione, un repubblicano che credeva nello Stato costituzionale delle libertà e nello Stato di diritto, ma che dovette per spietatezza del destino o per vendette miserabili portare il peso tremendo di una "giustizia ingiusta" e di una mormorazione ignobile». Perché quel che accadde all'ormai ottantenne Giacomo Mancini fu di subire le spifferale delle cosche calabresi, e subire un processo «per concorso esterno in associazione mafiosa»: sette anni di indagini e dibattimenti, tra il 1992 e D 1999 che si conclusero in appello con un breve «il fatto non sussiste». Fu, quello di Mancini, 0 primo processa per «concorso estemo», per la prima volta nei suoi confronti fu usala l'accusa che poi verrà rivolta ad Andreolli. Come la visse? «Per lui fu un dramma, un vero grande dramma» ricorda l'amico di una vita Emanuele Macaluso, ricordando anche che Mancini, al tempo, aveva avuto un ruolo di primo piano nella Commissione antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte. «Ma, nonostante l'angoscia che viveva, si comportò benissimo. Come? Fece tutto il contrario di quel che fa oggi Previti: non attaccò mai i magistrati, si batté perché si celebrasse il processo, non mancò mai a un'udienza, ed era sospesa dall'incarico pubblico che aveva, quello di sindaco di Cosenza. Testimoniammo in favore suo io. Rosario Villari, Giorgio Ruffolo, Alinovi, Michele Pantaleone. E, una volta as¬ solto in appello, io ho visto l'uomo più felice del mondo. Fu rieletto a furor di popolo. Anche perché lui, calabrese, era legatissimo alla sua terra. E i cosentini, questo, lo sentivano». Macaluso lo andò allora a trovare a Cosenza, «era stanco, maialo, si appoggiava a un bastone per camminare: ma quand'era al Comune, era felice». Non si affida alla retorica filiale il figlio Pietro nel ricordare, del padre, soprattutto «un memorabile discorso alla Camera ai tempi della frana di Agrigento: parlò di "fatti mostruosi" e mise sotto accusa gran parte della classe dirigente de della Sicilia per speculazioni edilizie, provocando le proteste di Moro per lettera a Nenni. E così in tante altre battaglie politiche, spesso solitarie, contro gli abusi nelle intercettazioni telefoniche, le deviazioni nei servizi segreti». Molte delle questioni che Giacomo Mancini pose in vita, dice Pietro, sono ancora di grande attualità, «e l'auspicio è che la sinistra, in questa fase difficile, riesca a utilizzare il senso del suo originale messaggio riformista e garantista». Giacomo Mancini

Luoghi citati: Agrigento, Cosenza, Italia, Roma, Sicilia