Pellegrini: «È stato un omicidio volontario»
Pellegrini: «È stato un omicidio volontario» Pellegrini: «È stato un omicidio volontario» L'inviato Rai divideva la stanza con una delle vittime: sapevano che c'erano solo giornalisti Andrea dì Robilant ROMA Nulla è cambiato per i giornalisti che lavorano a Baghdad: vanno a caccia di notizie, mandano i loro servizi, cercano di vivere e sopravvivere in una città che viene messa a fuoco e fiamme. Eppure, dopo quel colpo di cannone ieri mattina contro l'Hotel Palestine, nulla è veramente più lo stesso. «Sappiamo che coprire la guerra è rischioso», racconta Anna Migotto, inviata del Tg4, dal suo satellitare. «Per questo ci prepariamo bene, prendiamo precauzioni. Ma alla fine partiamo sempre con l'idea di godere di una sorta di immunità. Ora non è più così. Mi sento un bersaglio. Sento il pericolo, ho paura. Ma dentro di me ho anche una rabbia furiosa». I corpi dei tre giornalisti uccisi ieri giaciono ancora nelle celle frigorifere all'obitorio perché non è possibile rimpatriarli. Vediamo dalle immagini in tv la veglia funebre che i reporter hanno organizzato sulla spianata dove trasmettono i servizi. Giornalisti vecchi e giovani dai volti atterriti. Alcuni hanno le lacrime agli occhi. «La perdita dei nostri amici ispira un sentimento molto forte in ognuno di noi», dice Gabriella Simoni del Tg5, una veterana della Guerra del Golfo, della Bosnia, del Kosovo. «Improvvisamente loro non ci sono più mentre noi siamo ancora vivi. Perché? Perché il tank americano ha colpito una stanza al quattordicesimo piano piuttosto che un'altra? Certo, uno ha la sensazione di averla scampata, ma poi ti rimane questo immenso vuoto dentro». Le spiegazioni del comando americano hanno lasciato i giornalisti sconcertati. Non c'erano cecchini sul tetto dell'albergo, assicurano. Non c'erano mitragliatrici puntate contro i tank della Terza divi¬ sione blindati. «C'erano solo trecento giornalisti», si sfoga Ferdinando Pellegrini, l'inviato del giornale radio Rai. «Siamo diventati tutti cecchini? Trecento cecchini? Chiunque abbia sparato sapeva benissimo che c'erano solo giornalisti. E' stato un omicidio volontario. Hanno voluto tappare la bocca a chi racconta questa guerra. Noi sapevamo che venire a Baghdad non sarebbe stato un pie nic. Ma finire uccisi dai carri americani, chi avrebbe potuto immaginarlo?». Pellegrini è vivo per miracolo. José Couso il collega di Telecinco morto ieri mattina era suo compagno di stanza. «Mi ero allontanato dalla camera per andare a prendere un tè», racconta. «Pochi secondi dopo ho sentito una terribile esplosione. Sono rientrato e l'ho trovato sul balcone: era a terra, con un osso di fuori e la gamba quasi staccata dal corpo». Pellegrini ha trascinato il collega fuori in corridoio, l'ha messo nell'ascensore e ha chiamato aiuto. E' morto più tardi, in ospedale, dopo che gli avevano amputato la gamba. Pellegrini aggiunge: «Da un mese dormivamo insieme, mangiavamo insieme, bevevano il tè insieme. Capisci, in circostanze come queste l'amicizia si forma rapi- damente e diventa subito profonda». L'Hotel Palestine, fino a ieri rifugio più o meno sicuro dei giornalisti, ha acquistato quell'atmosfera tetra che viene sempre con la morte. Anna Migotto ha paura di tornarci: «La mia stanza lassù era l'unico posto dove potevo rilassarmi, bere un tè con i colleghi, riprendere forze. Era una tana. Ora quella cosa lì non c'è più. E questo è un pensiero orribile. Forse è la cosa che più mi fa male». Da Roma, dalle redazioni, gli inviati a Baghdad sentono dire che si vorrebbe tirarli fuori di lì, portarli al sicuro. «Impossibile», taglia corto la Simoni. «Ormai è molto più difficile lasciare Baghdad che rimanere. C'è solo una cosa da fare: stare uniti, tutti insieme, e cercare di uscirne vivi». Ferdinando Pellegrini, inviato del giornale radio Rai, è scampato alla morte per pochi secondi
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