Quei mafiosi senza gloria rispediti in Italia dagli Usa

Quei mafiosi senza gloria rispediti in Italia dagli Usa «GLI INDESIDERABILI» DI SCIMECA GIÀ AUTORE DI «PLACIDO RIZZOTTO» Quei mafiosi senza gloria rispediti in Italia dagli Usa La storia vera di 450 emigranti (nel film i protagonisti sono quattro) espulsi dopo la guerra perché malavitosi. Tornati ai paesi d'origine s'imbattono nelle stesse difficoltà degli immigrati di oggi Simonetta Robiony ROMA Non tutti i mafiosi sono grandiosi come II Padrino né ridicoli come I Sopranos. Molti sono solo uomini comuni che la «malasorte» ha trasformato in delinquenti: taglieggiatori, killer, papponi, contrabbandieri, spacciatori. Su questi mafiosi senza malvagità e senza gloria Pasquale Scimeca, regista siciliano di «Placido Rizzotto», ha'appena finito di girare «Gli indesiderabOi», storia di un gruppo di malviventi che l'America rispedì in Italia nel 195) in base al decreto della Commissione Keifeuveir la quale aveva stabilito di liberarsi di quegli italiani che, pur senza esplicita condanna, venivano considerati far parte della criminalità organizzata. Nel blocco gli americani, oltre a molti piccoli gangster, avevano naturalmente infilato anarchici, ribelli, poveracci e semplici sospettati arrivando alla bella cifra di quattrocentocinquanta. Quattrocentocinquanta italiani che sbarcati a Genova si ritrovarono dopo trenta, quarant'anni passati negli Stati Uniti a dover riorganizzare, spesso senza riuscirci, una esistenza nei loro paesi di origine: la Sicilia, la provincia di Livorno, il napoletano. L'evento fece molto scalpore. La guerra era finita da doco e l'Italia avrebbe fatto voentieri a meno di questi suoi figli espatriati senza fortuna. A Genova, ad accoglierli dalla nave che li sbarcava, numerosi giornalisti. Tra loro Giancarlo Fusco, gran raccontatore di storie, all'epoca inviato del «Secolo XIX», che ne raccontò la vicenda nel libro «GU Indesiderabili», un volume che verrà rieditato eia Sellerio in coincidenza con l'uscita del film. Agganciato da uno di questi disgraziati, un mezzo imbroglio¬ ne che in cambio di pochi pochi soldi era pronto a giurare di aver assistito al massacro di San Valentino e aver conosciuto Al Capone, Giancarlo Fusco, infatti, ricostruì la storia di una gang newyorkese di mezza tacca al servizio della grande mafia dell'epoca. Pasquale Scimeca, col suo film, ha fatto altrettanto riducendo però a quattro il numero dei protagonisti della sua storia e mescolando fatti dell'Italia anni cinquanta a fatti avvenuti precedentemente in America, in un linguaggio in bilico tra l'italiano dialettale e l'americano «brooklyno», resi comprensibili da sottotitoli. Antonio Catania, nel film, è il giornalista Giancarlo Fusco. Peppe Lanzetta è un killer detto «o' chirurgo» perché uccideva con la precisione di un medico. Linda Steadman fa sua moglie, un'americana autentica sordomuta ma in grado di esprimersi con i segni. Mario Rivera, uno del gruppo Agricantus, è un anarchico vicino alla gang. Marcello Mazzarella fa il figlio di un gelataio palermitano taglieggiato dalla Mano Nera uno che aveva portato a New York il sorbetto al mughetto. Vincent Schiavelli è il mezzo delinquente che campa vendendo ai giornali storie e documenti alterati. Vincent Gallo, il solo che non è arrivato in Italia bollato come indesiderabile, è un italo-americano del Bronx vigliacco e velleitario che, non avendo avuto il coraggio di far fuori la sua vittima, viene assassinato dagli altri perché non parli. Violante Placido è la sua fidanzata, una ragazzetta polacca che lo ama con sincerità. Il film, una produzione Digital Rodeo destinata anche al mercato statunitense, nonostante le molte scene americane, è stato girato interamente in Italia, tra i paesi della Sicilia e il set di Cinecittà di «Gangs of New York» adattato allo scopo. Le musiche sono di Nicola Piovani, la fotografia di Pasquale Mari, la sceneggiatura di Nennella Bonaiuto. Pasquale Scimeca, ex insegnante di lettere, autore indipendente di corti e lunghi acquistati poi dalla Rai di Guglielmi e di Ghezzi, continua quindi con «Gli indesiderabili» quell'analisi del nostro passato, specialmente siciliano, recente o recentissimo, che tanto lo appassiona. «Il libro di Giancarlo Fusco può avermi aiutato, ma quel che mi ha fatto scegliere questo racconto è la convizione che la mafia per noi italiani, sia come l'epopea del west per gli americani. In questo caso, però, c'è poco di mitico: la mia è una vicenda di emigrazione all'incontrarlo che può somigliare a quelle di oggi». In che senso? «Ma, nel senso che la nostra emigrazione italiana in America tra le due guerre somiglia in tutto e per tutto a quella delle comunità albanesi o tunisine che adesso arrivano in Italia. C'è chi cerca di integrarsi, chi è disposto a sacrifici disumani, chi non ce la fa e si dedica ai servizi sporchi. Il meccanismo è sempre lo stesso: vm boss che controlla la comunità, un grosso gruppo di lavoratori che accettano di essere sfruttati, alcuni, i ribelli, che diventano la mano armata del boss». Ouesto però ce lo raccontano anche le cronache giornalistiche. «Col cinema diventa un'altra cosa. E' tutto più grandioso al cinema. O almeno così pare a me che sono nato ad Aliminusa, un paese vicino Palermo, talmente piccolo che non ci arrivava né la mafia né il cinema. Mi ricordo ancora quella volta che mio nonno mi portò con la mula a vedere Gian Maria Volontè che girava sulle nostre colline "Un uomo da bruciare". I fasci di luce che illuminavano il set sembravano uscire dalle nuvole in cielo: ho pensato che il cinema fosse Dio». Il regista Salvatore Scimeca Violante Placido è la fidanzata di Vincent Gallo, una ragazza polacca che lo ama molto Il regista: «Sono situazioni reali, ma sullo schermo ètutto più grandioso Da piccolo mio nonno mi portò su un set all'aperto Pensai che il cinema era Dio»