Piccole imprese solitarie e ottimiste «I nostri conti meglio dell'economia»

Piccole imprese solitarie e ottimiste «I nostri conti meglio dell'economia» UN SONDAGGIO ABACUS FOTOGRAFA LE RELAZIONI TRA PMI, INNOVAZIONE E CONCORRENZA MONDIALE Piccole imprese solitarie e ottimiste «I nostri conti meglio dell'economia» Il 5807o per investire utilizza mezzi propri. Scarsi i rapporti con banche e università Gros Pietro: «Ora si adattano bene al mercato ma in futuro sapranno indirizzarlo» Federico Monga «Chi fa da sé fa per tre». Per la propria azienda, per le istituzioni pubbliche è anche un po' per le banche. Si può riassumere nell'antico adagio la fotografia di Abacus e Tolomeo commissionata da Confindustria sul rapporto tra le Pmi italiane, competitività e innovazione. Gli imprenditori piccoli e medi prendono le distanze dal pessimismo diffuso dalla popolazione italiane su), futuro dell'economia ma ne conservano le caratteristiche di dinamicità e inventiva quando devono confrontarsi sui mercati «sempre più competitivi»: rapida capacità di adattarsi, verrebbe da dire di arrangiarsi, al cambiamento dei gusti dei consumatori e della domanda in generale; gran fiuto nel comportamento de. concorrenti; elevata convinzione nei propri mezzi e nella propria capacità di migliorare i conti dell'azienda anche se il quadro economico è difficile. Le ultime inchieste di Abacus hanno rilevato che il 470/! dei cittadini italiani attende un peggioramento sulla situazione economica del paese, il 41X non vede variazioni in futuro e solo il 12DZo crede in un miglioramento. E il pessimismo si ritrova anche sull'occupazione, sull'andamento dei prezzi, sul valore delle azioni. L'umore nero scompare invece in chi fa impresa nonostante ci sia stato un crollo nelle aspettative di Borsa: un anno fa più di quattro manager su dieci si attendevano un andamento positivo della Borsa, a marzo 2003 c'è stato un crollo al 1407o. Le tensioni geopolitiche e le maratone televisive che raccontano minuto per minuto la guerra in Iraq comunque non intaccano la fiducia sulle condizioni generali dell'economia (il 480Zo è convinto che nei prossimi tre anni migliorerà, il 360Zo che non Gambiera, il 19nZn che peggiorerà). Se poi la domanda si sposta dal quadro macroeconomico a quello particolare dei propri affari l'ottimismo quasi quasi trionfa; ben il 630zó prevede conti in crescita, il 25 una situazione di sostanziale equilibrio e solo il 5 un contrazione dei bilanci. Le prospettive che lasciano ben sperare sono «le potenzialità delle nuove tecnologie, l'apertura di frontiere commerciali in Oriente e nell'Est Europa, l'innalzamento degli standard di prodotto e di servizio che mettono fuori gioco la concorrenza di chi si presenta sul mercato a prezzi bassi». Tra i nuovi rischi invece «un mercato sempre più affollato, leggi ancora confuse e poco al passo con i tempi, un costo del lavoro penalizzante, insufficienze infrastrutturali logistiche, l'ordine pubblico, la diffusione dell'illegalità e di pratiche commerciali scorrette soprattutto nei mercati emergenti». Secondo il professore Gian Maria Gros Pietro che sabato prossimo a Torino illustrerà la ricerca all'interno del convegno «Competitività e sviluppo, il ruolo dell'Europa , le sfide l'Italia», i piccoli e medi imprenditori si sono cosi calati nei panni dell'autosufficienza che «ormai, se si esclude una maggior collaborazione da parte del sistema creditizio, non chiedono quasi più aiuti». La grande maggioranza (il 420Zo) quando va all'estero non si appoggia a nessuno. E la convinzione di dover contare solo sulle proprie forze aumenta quando lo scenario globale diventa più incerto come in questi momenti di conflitti in Medio Oriente. L'85% dei 1128 imprenditori intervistati comunque si dice orgoglioso (il 400Zo «molto» e il 450Zo «abbastanza») di «essere un manager italiano». E non importa se più di uno su due sono consapevoli di posizionarsi sul mercato come «follower», ovvero al traino di altre aziende e altri paesi con una più spiccata propensione alla ricerca e allo sviluppo e quindi all'innovazione. C'è da dire però che la collaborazione con le università è davvero un club esclusivo: solo il 2ain riferisce di avere rapporti continui con gli atenei, mentre il 46nZo non ne ha mai instaurato neanche uno. «In questo campo - spiega Gros Pietro - un ruolo determinate dovrebbero svolgerlo le banche. I rapporti non sono certo buoni ma le Pmi si lamentano solo della difficoltà nell'ottenere credito. E le banche rispondono che hanno troppe sofferenze. In realtà le aziende avrebbero bisogno di strumenti finanziari avanzati per ottenere il capitale di rischio da destinare all'innovazione». Ouesto rapporto però, ad oggi, manca. Il 580Zo allora ricorre a mezzi o capitale fatto in casa, il 320Zo si indebita con le banche, il 50Zo utilizza fondi pubblici italiani, il 30Zo finanziamenti europei, il 20Zo (segnale di chiusura verso l'esterno) all'ingresso di nuovi soci. Lo stile di impresa preponderante è quello dinamico reattivo (il 430Zo): i cambiamenti vengono ab¬ bracciati solo quando diventano necessari per rimanere competitivi sul mercato e più raramente anticipati; si guarda alla qualità ma anche all'ottimizzazione dei costi di gestione. I «tradizionalicauti» sono il 260Zo. I «dinamici-innovativi» che puntano alla crescita costante a 360 gradi dell'impresa e ad anticipare i cambiamenti del mercato sono un terzo. Gros Pietro è convinto che aumenteranno: «Dieci anni fa l'innovazione era solo di processo, attraverso l'acquisto di nuovi macchinari, oggi è anche organizzativa e di prodotto. Il prossimo passo, grazie alle nuove tecnologie già ampiamente utilizzate, sarà l'innovazione di contenuto e di conoscenza». Quella in grado di ribaltare e di indirizzare il mercato.

Persone citate: Federico Monga, Gian Maria Gros Pietro, Gros Pietro

Luoghi citati: Europa, Iraq, Italia, Medio Oriente, Torino